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Scure, dolci fredde acque di Piediluco: non ci mancherete per niente
di Domenico Urso, 08/08/2018

Il 4 agosto scorso si è svolto il 4° Triathlon Sprint Silver di Piediluco, in una cornice naturale che - tra lago, boschi secolari e monti caratteristici, come la “Montagna dell’eco” - è senz’altro tra le più suggestive del centro Italia. La gara era in programma per il pomeriggio, probabilmente per facilitare i molti atleti che sono giunti da varie ragioni. In effetti, i partecipanti erano numerosi, circa trecento. La collocazione oraria ha però esposto la manifestazione alla possibilità del classico temporale estivo, che puntuale e anche con una certa violenza, abbiamo trovato ad accoglierci all’arrivo a Piediluco. Pacchi gara ritirati sotto il diluvio e fuggi fuggi generale verso qualunque possibile riparo dalla pioggia. Che però è stata clemente, perché è terminata in corrispondenza dell’apertura della zona cambio. Per me, che sono alle prime gare di triathlon, è il momento in cui controllo almeno quindici volte di non aver dimenticato qualcosa di indispensabile. Sistemo i calzini accanto alle scarpe da running, anche se so che non è professionale indossarli. Attacco un paio di barrette di gel alla bici, anche se so già che non le prenderò perché mi fanno venire nausea. Ma soprattutto è il momento in cui mi guardo intorno ad ammirare le altre bici (alcune sono veramente stupende) e i rituali di preparazione degli altri atleti, ognuno differente. Mi affascinano quelli che attaccano le scarpe alla bici con gli elastici. Chissà, forse dopo qualche corso triennale ci riuscirò anch’io. Si scambiano battute con i “vicini” di posto, si salutano i compagni di squadra ma anche quelli delle altre squadre, perché gara dopo gara si diventa tutti amici.

Siamo in quattro “orange”: oltre me, Maria Morganti, Marco Mechelli e Claudio Alesse. Parlando con Maria scopro che il percorso che ci ha avvicinati al triathlon per certi versi è simile: reagire alle avversità della vita, lottare invece di abbattersi, voglia di crederci, di impegnarsi, di non mollare, di migliorarsi a dispetto degli anni che avanzano e delle prestazioni che non sono quelle dei fortissimi giovani o degli amatori più evoluti. Cogliere il bello della vita e nel bello della vita c’è la voglia di vivere intensamente ogni istante di queste gare: l’ansia della preparazione, l'adrenalina della gara, la soddisfazione di avercela fatta. Le debolezze e le paure che diventano sfide da vincere o perlomeno da combattere. Le conversazioni vengono interrotte dall’altoparlante che annuncia l’inizio della frazione nuoto. Io non indosso la muta semplicemente perché ancora non l’ho comprata. D’altra parte non affrontavo con urgenza la questione: a che servirà mai la muta in estate, mi dicevo. L’acqua è in genere così calda… Attorno a me vedo che quasi tutti la indossano. I primi che si tuffano in acqua si agitano vorticosamente e lanciano sonore imprecazioni per la temperatura dell’acqua, inaspettatamente fredda. Non essendo un tipo freddoloso, non mi allarmo molto, tuttavia mi avvicino al pontile e mi tuffo cautamente. Una sensazione di gelo mi avvolge all’istante, provo a muovermi un po’ ma dopo qualche secondo esco dall’acqua, troppo fredda. Mi sento sconfortato. Io, che già a nuoto sono un “ferro da stiro”, avverto la concreta possibilità di non farcela. Però dopo tutta quella strada da Roma, dopo aver sacrificato una giornata, mi dico che devo almeno provarci e l’incoraggiamento che mi danno i compagni della Podistica risulta alla fine decisivo. Rientro in acqua per la seconda volta e questa volta inizio subito a nuotare: il freddo è intenso ma si può domare. La partenza viene data quando siamo tutti in acqua: molti urlano ai giudici di sbrigarsi a dare il via e finalmente arriva il fatidico momento. Mi colloco nella parte finale del gruppo, evitando di guardare le boe, che mi sembrano a chilometri di distanza, e mi concentro su chi nuota davanti a me. Con il movimento la situazione migliora, anche se a tratti ci sono zone dove l’acqua è ancora più fredda e in quei momenti la voce interna del “chi me l’ha fatto fare” riecheggia forte.

Il bello dello sport alla fine è anche questo: riuscire a fare le cose che non penseresti di fare. E allora eccola, la boa arancione, dapprima lontanissima, poi lontana e adesso vicina, finchè ad un certo punto me la lascio alla mia sinistra. Adesso c’è un breve tratto fino ad un’altra boa arancione dopodiché si torna verso riva. Nella parte finale sento di nuotare meglio, anche se probabilmente sarà solo suggestione mista al sollievo che il più è fatto. L’ultimo tratto, non so per quale misteriosa logica delle correnti, è quello con l’acqua più fredda: il pensiero di non farcela riappare a tratti ma ormai vedo in fondo la riva. Quando esco dall’acqua sono davvero soddisfatto anche se ovviamente non c’è un attimo per rilassarsi. Indosso al volo scarpe e casco e parto per la frazione bici. Il percorso è molto bello e l'organizzazione è ottima perché in nessun tratto della strada si incontrano automobili. L’asfalto non è troppo bagnato e malgrado la pioggia di prima si può pedalare bene. Osservo i particolari del bellissimo paesaggio, che sembra autunnale più che estivo. La temperatura è fresca, anche se è nulla al confronto di quanto abbiamo provato poco prima in acqua. Ad un certo punto incrocio in senso contrario i velocissimi componenti del gruppo di testa, impegnati in una gara diversa dalla mia. Sfrecciano rapidissimi e sono belli da vedere. La frazione bici alterna un paio di lunghe ma costanti salite ad altrettanti tratti in discesa. Spingo quanto posso in salita mentre in discesa non mi lascio mai andare completamente, per via del mio innato timore di farmi male. Al rientro nella zona cambio per la seconda transizione, mi ritrovo alle prese col dilemma dei calzini: metterli o non metterli? Ovviamente prendo la decisione sbagliata, quella di non metterli. Avverto già dai primi metri un fastidio dietro al piede sinistro che so già che si trasformerà una graziosa vescica, ma cerco di ignorarlo e penso a concentrarmi sulla frazione a me più congeniale. Mentre prendo il mio ritmo, osservo le cupe acque del lago che costeggio alla mia sinistra. Mi sento bene e corro come piace a me: al massimo delle mie possibilità, senza guardare l’orologio ma concentrandomi sul paesaggio e sulle persone, apprezzando la fortuna di vivere un’altra esperienza così bella. Si attraversa il delizioso paesino di Piediluco: la gente seduta ai tavolini dei bar osserva incuriosita l'insolito spettacolo di cui faccio parte anch’io. Mi verrebbe voglia di bere un sorso di birra, ma rimando il momento. Al giro di boa bevo l’acqua del ristoro e mi avvio alla parte finale della frazione, questa volta con il lago a destra. Si salgono anche un paio di rampe di scale, giusto per raschiare qualunque briciolo di energia residua. Agli ultimi metri ripenso ancora alla frazione nuoto e passo il traguardo senza vedere il mio tempo finale. Lo vedrò dopo con calma, tanto non corro alcun rischio di piazzamento. Chi invece questo rischio lo corre, eccome, è Maria, che arriva felice e stremata come tutti ma che si piazza al terzo posto di categoria, coronando così una gara da non dimenticare. Il pasta party finale è una bella festa con il sole ormai tramontato da un po’ mentre l’ultimo fotogramma è la cerimonia di premiazione, con Maria che riceve come premio… un paio di calzini rosa. Scure, dolci fredde acque di Piediluco: non ci mancherete per niente. Anche se temo che ci rivedremo l’anno prossimo!




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