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Controcorrente
di , 20/04/2012

Vivicittà - Vivifiume
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo editoriale di Gianluca Di Girolami, Commissario UISP Roma, sulla gara del 22 aprile u.s. corsa sulle sponde del Tevere. Vi invitiamo a leggerla con attenzione perché i suoi contenuti sono molto importanti.

Il Vivicittà non è una corsa come le altre e non perché sia meglio o peggio di altre corse, ma semplicemente perché nasce ribaltando un principio.
Vivicittà non è lo sport al centro della città, bensì è la città al centro dello sport.
Proviamo a spiegarci.

Portare lo sport dentro gli spazi urbani è nelle corde dell’UISP, da sempre, ed è un principio che non solo non rinneghiamo, ma che cerchiamo quotidianamente di rinnovare. Semplicemente perché ci crediamo.

Ma il Vivicittà è un passaggio se si vuole più audace, uno slancio. Come tutti i gesti d’amore e di passione.

Vivicittà è, vorrebbe essere, lo sport che si mette a disposizione della metropoli, delle sue contraddizioni, delle fragilità che si nascondo nelle pieghe dei tessuti urbani.

Uno sport che si ricorda del proprio ruolo sociale solo per chiedere e rivendicare diritti non funziona, non incide.
E si che come UISP, se si tratta di incalzare istituzioni sportive e non, non abbiamo mai abbandonato la testa del corteo.
Ma sappiamo anche che la battaglia per i diritti si rafforza dentro l’assunzione di responsabilità, facendo propria la categoria di dovere.

Ecco perché abbiamo scelto il Tevere, perché se esiste il diritto di cittadinanza, deve esistere anche il dovere di cittadinanza.
Se andiamo in giro a dire che vogliamo che la città non si dimentichi dello sport, allora a Roma non puoi girarti dall’altra parte e fare finta di niente. Lo sport non può dimenticarsi della città.
Non puoi non vedere che esiste un pezzo di questa stessa città, che le scorre dentro, che le ha dato la vita, che da decenni è stato rimosso dal vissuto urbano, dal suo stesso immaginario.

Questo cercavamo e questo abbiamo trovato.
Un fiume a metà dentro una città a metà.
Ci siamo andati e vi ci abbiamo portato.

Di corsa, a passo veloce, in canoa, sulle jole degli 8 con timoniere della Coppa Anellone, sopra le reti dei bambini del Giocavolley.
Sui sanpietrini, sul fango (dentro il fango), perdendoci per strada i segnali dei chilometri, anch’essi impantanati, ritrovandoci bloccati da sponda a sponda con i nostri furgoni carichi del ristoro che non ha ristorato.
Ci siamo andati e vi ci abbiamo portato, perché era lì che volevamo far correre la nostra idea di sport. Al servizio di Roma.

Fosse stata una passeggiata come tante altre, una corsa come tante altre, forse avrebbe voluto dire che si era sbagliato obiettivo.
Ma non è stata una passeggiata, è stata una scelta.

Vabbe’, avremmo fatto volentieri a meno di 48 ore di pioggia ininterrotta, ma se la stessa pioggia su una riva crea qualche pozzanghera spazzata via con un paio di colpi di scopa e dall’altra crea una risaia che manco sulle sponde del Mekong, allora vuole dire che c’è qualcosa che non va ed è lì che bisogna stare con il Vivicittà.

Ce la siamo cercata, è vero, e se alcuni disagi sono stati vissuti come nostre mancanze organizzative, ce ne facciamo pienamente carico e già stiamo al lavoro per rendere migliore per la seconda edizione (perché noi sul Tevere ci torniamo, dal Tevere non ci spostiamo, questo già lo avrete capito).

Ma ce la siamo cercata perché per quanto ci riguarda sappiamo che esisterà un prima e un dopo Vivifiume e che il nostro rapporto con quell’organo vitale di Roma, dal 15 aprile 2012 non sarà più lo stesso.
E non solo per noi, perché ce lo siete venuti a dire in tante e tanti alla fine della corsa, ancora col fiatone. Ci siete venuti a dire che grazie a questo percorso avete scoperto un mondo, a volte difficile, degradato, da molti dimenticato, ma un mondo. Un’altra Roma.

L’idea era quella di mettere lo sport al servizio di questo pezzo di città.
Lo abbiamo fatto sulle vostre gambe (ma anche sulle nostre, fidatevi), sporcando scarpe, calzoni e calzoncini, e per questo non possiamo che ringraziarVi, di tutto cuore.

Lo abbiamo fatto perché qualche volta bisogna rischiare l’allungo, la salita, il terreno viscido, la risalita della corrente. Perché è l’unica maniera per andare avanti, per conoscere, per conoscersi.

La UISP di Roma



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