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Chi salva una vita salva il mondo intero
di Isabella Calidonna, 26/07/2016

Questa volta non scriverò delle emozioni provate in una delle mie gare da podista, ma di quelle provate durante tutte le fasi della mia prima donazione di sangue. Ho affrontato una delle mie più grandi paure, quella dell'ago (e che ago) e quella di sentire un corpo estraneo nel mio braccio.
Posso dire di aver quasi fatto il countdown fino al giorno della donazione tanto era importante. Ho sempre pensato che non ci sarei mai riuscita. Quando in passato si parlava di “donazioni” io rispondevo sempre che non ci sarei mai riuscita … invece ce l’ho fatta!!!

Venerdì 22 luglio. Mi sveglio e vado subito a prepararmi. Non faccio colazione e non bevo nemmeno il caffè. Avevo paura di rovinare tutto. Mi diranno più tardi che prendere il caffè o mangiare pane e marmellata è preferibile. Lezione imparata per la prossima volta.
Ore 7.15 sono già in sede e trovo già il Presidente, Davide e Alessandro. Siamo pochi, ma alla fine saremo in 31! Record di donazioni! Sono visibilmente agitata ed emozionata, si nota, ma cerco comunque di sorridere e fare cose per distrarmi.
Arriva il bellissimo laboratorio mobile. Sistemano tutto e ci danno i moduli da compilare. È la prassi. Nel frattempo faccio nuove amicizie e incrocio facce a me care come quella della dolce Maria che mi tranquillizza con i suoi abbracci e le sue parole. C’è anche il mitico Valter e conosco anche Massimo. Questi non sono solo momenti di solidarietà, ma anche momenti di “socializzazione”.
Mi sento a mio agio, mi sento bene e il nervosismo sembra essere quasi passato. Appunto, quasi … dopo le prime persone che avevano impegni lavorativi, chiedo di poter andare io. L’agitazione si sta facendo sempre più sentire.
Nel frattempo il Pres decide di estrarre i numeri per la riffa dei pettorali. Io fungo da dea bendata. Estraggo i 10 fortunati e io rimango senza pettorale … “Mai na gioia!”
Enrico, che aveva vinto il pettorale per una gara che mi sarebbe piaciuto disputare, decide di cedere il suo pettorale causa lavoro. Lo cederà a me. E io sono estremamente felice di questo gesto stupendo.

Arriva il mio turno. La dottoressa mi visita e alla fine vengo dichiarata idonea alla donazione. Così si avvicina il momento dei “vampiretti”. In quel furgoncino c’erano un sacco di dottori carini e simpatici, che con le loro battute smorzano il mio evidente stato di agitazione. Credo si leggesse quasi il terrore nei miei occhi. Ma sono lì per una buona causa e devo affrontare questa mia paura.
Mi metto in fila. Il Pres mi saluta, deve andare via, e mi dice di stare tranquilla. Sembrano cose sciocche a cui spesso non si fa caso. Ma per me contano molto. È il mio turno. Siedo sulla poltroncina. Mentre il dottore mi prepara il braccio mi dice che sentirò un pizzico. Quando l’ago entra ho sentito il pizzico, si, ma niente di esagerato. Un normale pizzico come quando si fanno le puntura. Ho visto lo spessore dell’ago solo in un secondo momento, quando uno dei dottori lo ha sfilato ad uno dei donatori che stava nel furgoncino con me. Credo di aver strabuzzato gli occhi alla sua vista, perché il medico ha esclamato: “ops … non dovevo fartelo vedere”. E come si fa con i bimbi lo ha subito messo via.
Alla fine però tutto bene. Ho superato anche la sensazione di volermi strappare tutto via dal braccio. Sentivo l’ago. Sentivo il braccio pulsare e il sangue scorrere via. Nonostante tutto però non ho chiesto di fermare tutto. Osservavo gli altri sui lettini, sembravano tranquilli e ogni tanto mi guardavano e sorridevano, dicendomi con gli occhi di stare tranquilla.
I medici a cadenza regolare si affacciavano, mi osservavano e mi chiedevano come stessi. Io, come al solito, osservavo tutto. La “macchinetta” che avevo attaccata al braccio ad un certo punto ha suonato. Eravamo ancora a metà prelievo. Quindi, come al mio solito, inizio a porre mille domande. Uno dei medici mi dice che il suono era riferito al ritardo del prelievo, il mio sangue scorreva meno velocemente, ma non è una cosa preoccupante, rassicurandomi con un sorriso. Finisco e osservo tutte le operazione successive. Mi lasciano un pochino distesa prima di farmi uscire.

In quel momento sono sola con me stessa, quindi penso. Penso a quello che ho appena fatto. Realizzo che con quel gesto ho contribuito a salvare una vita. “HO SALVATO UNA VITA”. Inizio a commuovermi, uno dei dottori mi chiede se va tutto bene e io rispondo che sono solo tanto emotiva, ma sto bene.
Dentro mi scoppiano una serie di emozioni indescrivibili, ma quella più bella è la sensazione di orgoglio che provo. Per la prima volta sono orgogliosa di me. Ho superato una mia grande paura. Ho fatto una cosa solidale.
Uscita da lì vado a fare colazione e vengo trattata come mai prima. Davide mi porge una boccetta d’acqua, dicendomi che è molto importante che io beva da questo momento in poi. Parliamo per un bel po’ e mi dice un sacco di cose interessanti. Si avvicina anche Ferdinando e mi porta i saluti della mia cara amica Caterina. Alla fine si siede anche Massimo accanto a noi.
Poi un signore addetto alla colazione si avvicina e mi chiede quale cornetto volessi. Io lo guardo un pochino stupita, non me lo aspettavo, mi serve persino il caffè. “come una principessa” esclamo. Mai ricevute tante coccole!
Sono contenta per come è andata la giornata. Torno a casa più che soddisfatta con la mia medaglia, la mia maglietta e il mio pettorale. Apro la busta nella quale viene indicata la gara a cui prenderò parte e leggo: “Ci sono strade che si incontrano, ci sono storie unite da un filo invisibile che si chiama solidarietà. Oggi una persona ha avuto la fortuna di incontrarti sulla propria strada e di ricevere un dono immenso che potrebbe voler dire la vita”.
Ecco. Alla persona che inconsapevolmente ho incrociato sulla mia strada dico grazie. Grazie per avermi permesso di provare queste emozioni, sperando che sempre più persone, più ragazzi, possano sentire le cose belle che ho sentito io.




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