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L'autentica Maratona
di Roberto Rocchi, 18/11/2015

Atene, 7 novembre 2015.
La prima sensazione di vulnerabilità l’ho provata quando, dopo essere stato sorpreso dalla funzionalità del treno metropolitano che dall’aeroporto ti lascia nel cuore della città, almeno cinque uomini di sembianze balcaniche di oltre mezza età mi hanno stretto fra loro, circondandomi senza evidente ragione, al centro del vagone della metropolitana rossa che avevo preso per raggiungere la fermata di Victoria. Non avendo nulla di afferrabile a vista, sono riuscito a portarmi con il mio zaino indenne oltre l’inaffidabile cerchia e, con un cenno di occhi lanciato a mia sorella M che aveva intuito la pericolosità della situazione, a portarmi con lei fuori dal treno alla prima fermata e guadagnare l’uscita.

Emersi in superficie e commentato con qualche accenno il preoccupante fattaccio, ci accoglie lo slargo di Victoria nel bagliore di una giornata assolata e brillante di luce, dal sapore primaverile piuttosto che autunnale. Con l’adeguamento al fuso orario del luogo, proiettati nell’ora del pasto principale, scopriamo il gran da fare di giovani camerieri che portano, senza sosta, gli ordini ai tavoli dei caffè che invadono il marciapiede e, percepito l’orientamento, ci incamminiamo verso il nostro Hotel.
I passi compiuti per colmare la distanza ci rilassano e, finalmente, nella via che scopriremo essere la stessa del Museo archeologico e del Politecnico, raggiungiamo l'albergo.
Capitati bene! Nelle vicine piazzette e vie pedonali i caffè, ora new-age e ora tradizionali, alternano la loro presenza trasmettendo quella universale accoglienza che siamo abituati a percepire nelle grandi metropoli … che a volte si tramuta in imbarazzo per il conto salato da pagare al momento del congedo. Ma Atene non è Parigi e qui, dopo qualche approccio prudente, scopri la sostenibilità della cosa: caffè, dolcetti, halva, pita, tzaziki e birra … dopo aver consumato ti alzi dalla sedia e sai di poter stare ancora sulle gambe a gironzolare con la moneta ancora pronta a finire su un occasionale souvenir.

Intanto dal cellulare, dal gruppo What’s App dei convenuti, risuona il tintinnio dei messaggi e delle foto che cascano dalle altre parti di città. Il più apprezzato: “Ro, mandaci l’immagine del tuo personal message e la foto della carta d’identità, che proviamo a ritirare il bib number per domani!”. Missione che sarà immancabilmente (per fortuna!!) compiuta e che mi risparmia il passaggio al villaggio dei pacchi gara, ormai in via di chiusura.
Itineranti senza più dover sostenere i pesi del bagaglio, arriviamo al tramonto nei pressi di una chiesetta greco-ortodossa ordinatamente affollata, soprattutto di anziani. La curiosità ci porta a varcarne la soglia e a respirare una serena tensione di attesa e fermento per la celebrazione del sabato sera alimentata dai devoti presenti che, sommessamente, fra icone bizantine, lumi di candela che rischiarano gli interni dorati della cappella, salutano affettuosamente l’anziano “pappas” in tunica nera, cappello e barbona bianca che si accinge a dir messa. Trasportati dalla forte spiritualità percepita, ci concediamo un momento di silenzioso raccoglimento innanzi alle immagini sacre facendoci trasportare nella ritualità di accendere un piccolo cero a cui ancorare le nostre più profonde inquietudini.

Ripresa la strada, quasi per incanto e inconsapevolmente, ci ritroviamo alla base dell'Acropoli nella sua affascinante versione notturna, lato agorà. Sulla rocca, in alto, il Partenone viene illuminato coronando della sua bellezza senza tempo il nostro girovagare più in basso, fra i tavoli rischiarati da luci soffuse, piccoli lumi e il suono arcaico di persistenti tamburi dei ragazzi che richiamano qualche spiccio per la loro performance ben contestualizzata. Penso che sono fortunato a mirare tale bellezza e che l’umanità che ha espresso nell’antichità queste costruzioni, lasciando un segno indelebile alle generazioni future, ha voluto trasmettere qualcosa di più di una concreta idea di affermazione e laboriosità della propria esistenza.
Arriviamo fino ad una rupe antistante il maestoso scenario del teatro romano e, lasciandolo alle spalle, ci facciamo rapire dalle mille luci di una città sconosciuta, ormai al di sotto dei nostri sguardi, estesa fino all’oscurità del mare. … Ma arriva presto il sussulto al cellulare “Ro, domani colazione alle 5. Alle 5,15 taxi per Sintagma?” … l’incanto si dissolve e, facendomi tornare con i piedi per terra.

Danielissima, mi ricorda il traguardo da raggiungere. Lascio Paola e Matilde ai loro tempi per tornare in albergo misurando la città con lo sguardo, tra i passi ormai più certi. Comincio a pensare di dover appuntare il bib sulla canotta, selezionare tutto quanto da indossare all’indomani prima dell’alba e preparare la sacca del cambio. In albergo mi ritrovo con le runners Anna Maria, Giulia e Danielissima, accompagnata dalla figlia (veramente una coppia speciale!). Dopo il consueto scambio di saluti e di battute ci lasciamo prendere da una ristorazione greca poco impegnativa. AM scopre lo tzaziki che diventerà per tutto il resto del viaggio l’imperativo categorico di ogni occasione conviviale, G si consente la birra del buon auspicio, D ci rende partecipi che trovare l’acqua frizzante in giro per Atene è come vincere una scommessa.

Decidiamo di rinviare al post gara la moussaka e di lì a poco, nel segreto della stanza, completerò il mio pasto serale pre gara con un paio d’etti di taralli integrali che mi sono portato da casa. Dopo cinque ore di sonno scarse mi sveglio bofonchiando qualche disappunto sull’eccesso di levata. Prendo la sacca predisposta a dovere la sera prima e scendo nella hall per intercettare D. AM e G hanno trovato il pettorale per la 10 km: la loro atletica esige tempi meno forsennati. Con D, dopo aver osservato a piazza Sintagma il primo cambio della guardia greca delle ore 6.00 (ancora al buio!) abbordiamo il primo pullman dell’organizzazione che ci porterà allo stadio di Maratona. Per raggiungerlo percorriamo tutta la strada nel senso inverso al percorso di gara. Il viaggio, che dura 45 minuti di orologio, mi sembra lunghissimo!! Accidenti, si tratta dello stesso tracciato che alla stregua del mitico Filippide, percorrerò di lì a poco. Nel mio vaneggiamento mattutino nebuloso, penso che una maratona tra il lido di Enea e l’Arco di Costantino potrebbe fare breccia fra i tanti amanti di epiche gesta.

Arrivati! Giovani volontari ci accolgono sorridenti per donarci un efficacissimo bustone trasparente di plastica nel quale, sia io che D, ci infiliamo subito per ripararci dalla brezza marina che all’alba imperversa sul campo. Se fossimo stati poco più vicino al mare avremmo visto sorgere il sole a pelo d’acqua, proprio come emerge da noi dall’Adriatico. In realtà ci siamo riparati all’interno del campo dello Stadio in attesa dell’ora della partenza, camminando lungo la pista ovale, mentre a ondate successive arrivavano tutti gli altri atleti pronti per la loro impresa. Riesco a fare un paio di foto a D nei brevi intervalli che non sparisce a curiosare fra il montante tumulto di presenze di ogni dove e, sconfiggendo la mia riottosità riusciamo pure a farci una foto assieme coscienti che l’occasione è veramente unica. Chiedo ad un giovane podista inglese di curare lo scatto inquadrando bene nello sfondo anche una delle tante bandiere a strisce bianche e azzurre che circoscrivevano lo stadio ma, purtroppo, mi accorgerò che la mia sagoma deve averle sovrastate. Scialla! Ormai abbiamo più poco tempo per i convenevoli e dopo un forte abbraccio ognuno di noi due si guadagna lo spazio nella propria griglia di appartenenza. Non ci saremmo rivisti più per il resto della giornata ma nei miei pensieri mi sono divertito di frequente ad immaginare la reazione di D alle tante emozioni che il tracciato ci ha riservato. A cominciare dal sottofondo di sirtaki che ha accompagnato la partenza mentre tutti battevamo a ritmo le mani.

E proprio come una danza si è avviata questa autentica maratona, con un sole ormai nel pieno vigore di una giornata che sarebbe stata effettivamente radiosa. Per i più dei 12.000 partecipanti alla corsa, spento l’eco della danza iniziatica, un unico giro attorno al giardino della monumentale tomba degli opliti, avrebbe potuto creare l’occasione di salutare i compagni di avventura. Leggerò poi che il manipolo di guerrieri di Platea (gli opliti, appunto) dettero man forte alle forze ateniesi nel contrastare proprio lì il tentativo di sbarco dei persiani di Dario (era il 490 a.C.). Ma nella corsa è stato più importante ricevere ai margini di quel luogo storico un ramoscello di ulivo, simbolo universale di pace, che i tanti abitanti di Maratona ci hanno porto dal ciglio della strada.
“Pame, pame, pame!!!” l’incitazione che ci ha accompagnato per tutto l'itinerario, senza mai smettere. Ogni due kilometri e mezzo, fin dall’inizio, sono stati presenti i tavoli dei ristori: anche a volerlo evitare, non si poteva fare a meno di ricevere acqua in ognuno dei sedici punti disseminati lungo il percorso. E così anche per i presidi medici, infittitisi oltre metà distanza e che, purtroppo, ho visto entrare in azione spesso a ridosso di Atene.
“Pame, pame, pame!!!” ora sono dopo il bivio di Rafina. Quasi a metà percorso. Ci scostiamo dal mare per addentraci, correndo per un breve tratto in discesa, verso la contropendenza che ci aspetta, inesorabile e più lunga di dieci kilometri, per raggiungere la periferia di Atene. Ci lasciamo alle spalle i territori costellati di ulivi e macchia mediterranea che ci hanno accompagnato nella fase iniziale della corsa e si presentano, attorno a noi, i margini urbanizzati della periferia. E assieme ecco la sua gente:
“Pame, pame, pame!!!” continuano instancabilmente e con forza a gridarci dai lati della strada. Sono ormai passate le 11 e anche i bambini sono presenti e incuriositi da questo sfilar correndo di personaggi di tutti i colori: in canotta, in manica lunga, in magliette dalle centinaia e centinaia di scritte in tutte le lingue. Coi cosciali, le ginocchiere, i cerotti a banda, le calze aderenti fino al ginocchio, i capelli, le bandane, le fasce di spugna sulla fronte. Per ognuno una manina tesa per il “cinque”: toccare e sentire che sì, è tutto vero! Niente macchine per quella via principale che unisce alla città, quel giorno: solo i tanti che si impegnano correndo tutti dalla stessa parte, tra smorfie e sorrisi.

“Pame, pame, pame!!!” … La salita è durissima, non spingo più nella corsa perché sento i miei limiti. Continuo senza fermarmi a passo veloce: non mi è difficile mutuare i gesti dei podisti camminatori che ho conosciuto nel team Orange. Le braccia mi assecondano nell’allungamento e, seppur stanco, mi sento bene. Non soffro, non avrebbe senso, e riesco ad entrare in gioco con qualche sguardo di coloro che ai lati mi incitano. Piroetto attorno alle manine: per loro proferisco un bel “ciao”, scandito forte e chiaro con tanto di autentico sorriso. Un battito di mani, questa volta di plauso, anche alla vecchietta che invoca forte e che ha deciso che la giornata debba essere radiosa per tutti. E poi, sempre presente, l’acqua ai tavoli “nero, nero, nero!!!” perché il sole ora picchia forte davvero!
Daje, dico fra me e me, siamo al 33°. Ormai esco dalla salita e arrivo a rimirare sullo sfondo il Pireo. Attorno a me sento ormai più frequente il dolore di qualcuno e il suo immancabile abbandono. Momento penoso: l’ho provato anch’io in più di un caso. L’amarezza ti permea fino alla gola. Ma oggi no: sento che posso ricominciare a correre e rimetto in moto le mie gambe per fare in modo di tenerle sospese in aria per attimi di sogno. La schiena mi dice di non esagerare: da una decina d’anni la strega che mi porto dietro è pronta ad abbattermi nel momento più impensato. Devo ricordarmi di non darle l’occasione
“Pame, pame, pame!!!”, 38° kilometro, riconosco la città che ho lasciato la mattina nell’oscurità. L’ora risente ormai del ritiro alle tavole da parte dei più e migliora la percezione delle architetture che si fanno sempre più importanti: mi guardo a sinistra e vedo il maestoso colonnato del tempio di Giove nella sua distesa verde. Sono vicinissimo all’arrivo: sento la voce amplificata e la musica festosa proveniente dallo Stadio. Alla curva incrocio lo sguardo familiare e caro di M che ha potuto essermi vicino in questa avventura e le sorrido trasmettendole che sto bene.
L’abbraccio del Panathinaikos è bellissimo!! ... entro nella pista veramente confortato dalla splendida cornice di festosa rumorosità e gioia.

Finisco la corsa con passo danzante, come l’ho cominciata. Non ho il tempo inferiore alle quattro ore come avrei agonisticamente voluto ma sto bene e sono veramente soddisfatto. Un buon senso di pienezza mi prende quando M arriva nuovamente ad incrociarmi e riesce a scattarmi la foto con la medaglia al collo che farà il giro della chat. Nel retro della medaglia la sagoma di Gregoris Lambrakis: “atleta balcanico”. Scoprirò solo dopo che essere atleti può non essere sufficiente per una medaglia commemorativa e terrò questa medaglia con la sua immagine ancora con più cura.
La sera grande festa con tutte le amiche di questa avventura e … retzina a volontà, tanto per non essere troppo distaccati da coloro che festeggiano a tarallucci e vino!


Gara: Athens Classic Marathon (08/11/2015)

SCHEDA GARA



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