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Le splendide montagne degli uomini con le "ciocie"
di Ettore Golvelli, 23/06/2014

Maria, Antonietta ed Ettore

Maria, Antonietta ed Ettore

Sono quasi cinquant'anni che percorro l'autostrada Napoli - Roma ed ogni volta, in prossimità di Frosinone, il mio sguardo andava sempre su quelle altissime montagne che svettavano sul verde dei maestosi boschi della Ciociaria. E quando per la maggior parte dell'inverno le stesse erano imbiancate dalla neve, che da quelle parti cade copiosa, mi sono sempre chiesto se un giorno avrei avuto il piacere e la gioia di poterle ammirare da vicino ed ammirare e godermi il paesaggio che solo le belle montagne riescono a dare.
E finalmente il sogno si è avverato.

Oggi siamo in Ciociaria, la terra di un popolo che un tempo calzavano le "ciocie" ma anche la terra di Cicerone, di grandi santi, di grandi soldati,  di arte, storia, cultura, di grandi abbazie e... di bellissime montagne.
Io conosco abbastanza bene i dintorni del Frusinate e la cosa che amo di più di questo lembo di terra del Lazio è il mondo segreto dei suoi boschi, delle sue radure silenziose, dei suoi altopiani carsici dall'aspetto lunare, dei suoi piccoli borghi affascinanti per la quiete delle loro vecchie pietre e per la genuina cortesia dei suoi abitanti: gente che se gli chiedi un bicchiere d'acqua loro ti offrono dell'ottimo e genuino vino.
Siamo a Veroli e più precisamente al Prato di Campoli, una splendida oasi naturale, un incredibile anfiteatro erboso dall'incantevole fascino dove prati bellissimi ospitano gruppi di mucche e cavalli che brucano  le basse e genuine erbe montane: insomma  uno straordinario posto a 1143 metri s.l.m. che gli organizzatori hanno scelto per realizzare la loro prima Trail per il Memorial Fabrizio Spaziani o meglio, una Sky Race di alto livello e di altissima qualità che è anche la prima tappa di un circuito denominato "Viva il Trail".

Arrivo di buon ora sul posto, come al solito, e la prima cosa che faccio è un giro per il pratone per godermi un panorama a 360 gradi davvero suggestivo.
Questo territorio da l'impressione di immergersi in un mare verde, dall'ombra cupa del fogliame degli alberi al colore smeraldo dei prati, variegato dalle mille sfumature delle fioriture policrome.
Dal verde dei boschi cedui sono rivestite le zone collinari con maggior pendenza ma alle quote più alte, nelle fasce montuose, si estendono foreste intere con alberi ad alto fusto e pascoli.
Queste montagne, in passato, hanno ospitato un intensa attività d'allevamento e tuttora sono riconoscibili  gli antichi sentieri di transumanza che oggi rischiano di sparire.
Erano i "tratturi",  le vie d'erba, percorsi costantemente  per millenni dai pastori, camminatori instancabili che conducevano le greggi di pecore dagli alti pascoli montani a quelli di pianura. Silenzioso, paziente e riflessivo il pastore osservava e contemplava la natura intorno al suo cammino. Era una natura dura e selvaggia  e bisognava vigilare e lottare: le pecore erano seguite dai lupi che, organizzati in branchi, potevano arrecare  notevoli danni alle greggi. Nacque così una lotta all'ultimo sangue che ha visto pastori e lupi, acerrimi nemici da sempre. Oramai il lupo è quasi scomparso da queste montagne ma si possono incontrare le tracce di altri animali particolarmente interessanti come  la volpe, il cinghiale e diverse specie di rapaci.

Alla partenza della corsa c'è un bel numero di partecipanti e anche la Podistica Solidarietà è ben rappresentata: il sottoscritto e Tommy Iorio, i coniugi Braffi, Walter Santoni e le sue donzelle (Antonietta e Micaela), la bravissima Valeria Sortino, Massimo Cicerchia ed un ragazzo che non conosco.
Si parte ed all'inizio il passo è veloce  sul tratturo, a volte pietroso e spesso volte molto ricco di noiosissime radici affioranti, ma in genere agevole. Il bosco, caratterizzato da vegetazione di tipo mediterraneo, è silenzioso e fitto e non apre nessuna terrazza sui panorami delle pianure di sotto.
Si attraversa prima il "Fosso di Femmina Morta" e, dopo una piccola discesa (dove abbiamo sbagliato percorso una prima volta), si comincia a salire decisamente attraverso il "Sentiero delle Madonne" una bellissima faggeta dove ogni 50 metri  vi era attaccata un effige della Madonna!!!
Finisce il bosco e superati gli ultimi faggi, entro nell'emiciclo  sotto la cima  nord ovest del Monte Ginepro che raggiungo dopo aver superato la verticale di Monte Bello. Salgo lungo le coste erbose  della parte sommitale che è adagiata pericolosamente su di un pendio  risucchiato nel vuoto.
 Nello spianare sotto la croce, troneggia un catino d'acqua inputridito da animali transumanti saliti da valli esterne. Spuntano le rossicce piante  dei "semprevivi", mentre un turbinio di venti spazza la foschia  scolpendo su lontani azzurri cieli, il calcare ondeggiante delle Vette d'Abruzzo. Il Gran Sasso è ancora innevato ma le risalenti nebbie, che danzano intorno al Corno Grande, ne oscurano la visuale mentre il Velino, con i suoi slanci dorati, mi da sempre quella sensazione  di possanza, serenità e la soddisfazione di essere insieme a qualcosa di eterno, immutabile. Insomma, la sensazione di condividere la sua eternità.
Proseguo e arrivo su un esile crinale dove, a destra, il passo taglia cupi costoni e a sinistra, tra le rocce, la vendita di  un assolato  vallone precipitato verso boschi vertiginosi è contornato da sospesi roccioni.
Cammino in silenzio, un po' preoccupato, su di uno stretto cammino, sopra un nudo, profondo ed inclinatissimo valloncello franoso dove complicati tornanti, invasi da sfasciumi vegetali, aprono un inquietante terrazzo di rocce proteso sulla valle, a picco su verdi muraglie, all'interno di una sequenza ininterrotta di emozionanti strapiombi.
Uno sbuffo  di vento fresco mi tempera la fatica di arrivare quassù e mi attenua la vertigine che si prova  arrivando di colpo  in quell'aerea posizione. Mi pervade una sensazione di inquietante lievita', insomma la sensazione del volo, pericolosa se non controllata.
Alzo la testa e, sulla destra del bastione del Ginepro, sfilano  le ripide spalle di Monte Passeggio, la convergenza alta del Pratillo ed infine l'enormità di Pizzo Deta.
Ma adesso sono preoccupato per un altra faticaccia che mi attende: il Ginepro ed il Passeggio  (due cime oltre i 2000 metri) sono separati da circa due chilometri di distanza, in linea d'aria,  e da una sella  che scende fino a quota 1800 metri. Solo il pensiero  di dover scendere  e risalire da quella sella mi fa rabbrividire.
Prima scendo e poi comincio a salire: la salita è dura ma riesco a procedere abbastanza speditamente. Ora sono in vista  della cima di Monte Cappello (a 1981 metri) che per poco non ho scambiato per la cima del Passeggio ma mi vien quasi da piangere quando scopro che la cima di quest'ultimo appare ancora molto lontana: ci vuole ancora un chilometro, tutto in salita. Ma alla fine dico a me stesso che arriverò anche sul Passeggio e così anche la mia avidità di collezionista dei 2000 metri sarà' soddisfatta (oggi saranno tre  le vette aggiunte alla mia particolare collezione). Gli ultimi metri sono una sofferenza per l'elevata pendenza ma ecco davanti a me il cocuzzolo di questa mitica montagna. Sali, sali, sali e la croce comincia  a vedersi e quando finalmente arrivo in cima mi rendo conto che la cima non è altro che un cono erboso in cui si staglia un mucchio di sassi ed una rudimentale croce.
Qui il panorama spazia su tutta la valle Latina, dai Castelli Romani  alla bassa Ciociaria e mentre giro la testa a 360 gradi intravedo tra due cunei di basse montagne, molto in lontananza, uno splendido monastero: è la Certosa di Trisulti,  nel piccolo borgo medioevale di Collepardo (il paese del nostro Braf).

E qui c'è tutta na' storia che non è corretto tralasciarla.
La pace di questi monti hanno attratto, in tempi antichi, numerosi asceti e comunità monastiche che qui fissarono le loro dimore. I monaci iniziarono qui l'antica arte erboristica raccogliendo le erbe officinali di cui la zona è ricca e producendo liquori di elevatissima qualità.
Ed è proprio il grazioso borgo di Collepardo, che non lascia  cadere l'antica tradizione locale, che da secoli ricerca e trasforma  le erbe officinali di cui è ricca  la flora dei Monti Ernici. E lo fa attraverso  un corso di erboristeria e botanica pratica, introduttivo al riconoscimento ed uso delle piante officinali, tradizione nata in uno dei monasteri più belli dell'Italia Centrale.
Ed è qui che i monaci cistercensi accolgono cordialmente i visitatori tra i chiostri silenziosi della Certosa e i laboratori di farmacia ed erboristeria che, oltre alle miracolose erbe, produce anche miracolosi  liquori e digestivi, chiaramente...  a scopo terapeutico. Vi consiglio un gagliardo "Benedicine" oppure un leggero "Cusenier"  o un semplice "Millerbe" (io ho preso questo dopo aver assaggiati tutti gli altri), tutti liquori che troverete all'antica rivendita dell' abbazia oppure alle Distillerie S. Andrea di Collepardo. E dopo averli assaggiati fatevi una bella passeggiata nel fitto reticolo di viuzze e piazzette del borgo ma state attenti perché mentre vi godete i pittoreschi scorci  di paesaggio potreste incontrare... i coniugi De Angelis / Bianchetti, ovvero il Braf e signora.
Contento Mister Braf?


Dopo questo rilassante relax sulla vetta del Passeggio mi alzo dalla scomoda pietra e, dopo un rapido sguardo panoramico, riparto rapidamente verso le mie prossime prede: il Monte Pratillo e Pizzo Deta.
La mia ultima vittima di questa stupenda giornata appenninica è una montagna a doppia faccia: ampi declivi erbosi e boscosi ne caratterizzano  il versante Sud, mentre a Nord assume un aspetto prettamente dolomitico. Una vetta che cambia volto  da ogni diverso angolo di osservazione: dolce e apparentemente innocua dal versante verolano,  aspra e temibile dal versante rovetano.
In cima il panorama e mozzafiato: si distinguono, oltre tutte le vette degli Ernici, tutte le cime dell'Appennino Abruzzese e Laziale (Terminillo, Gran Sasso, Velino, Maiella).
Ma è doveroso ricordare che Pizzo Deta è anche la "montagna sacra" degli escursionisti, una montagna  che ha la cima  a forma di dito rivolto verso il cielo ed io, arrivato in cima, le dita della mia mano destra le alzo per accarezzare dolcemente il volto della Madonnina che qui, a quota 2041 metri, mi sorride a braccia aperte. "Grazie Madonnina per avermi protetto fin quassù ed anche lungo la discesa estremamente pericolosa che mi attende dopo".
E un momento bellissimo.
Qui le emozioni e le sensazioni  si accavallano velocemente.
Chi domina è il silenzio ed è piacevole consegnarsi ad esso, affidarsi completamente  alla quiete di un vasto paesaggio di boschi e montagne e star li mentre il sole, con i suoi raggi dorati, svetta sulla Terra  e ne colma di luce i suoi vuoti, i suoi silenzi.
Le montagne sono maestre severe che generano discepoli calmi, tranquilli, quieti  e il silenzio costituisce l'essenza  profonda del linguaggio della montagna. Un silenzio il cui "rumore" oggi, nella frenesia della vita moderna, produce disagio, disorientamento, spaesamento perché il silenzio, come la poesia, è un linguaggio estremo.
Sbuffi gelidi e brividi sulle mie  braccia mi ricordano che qui dominano anche il vento, le nuvole ed una sensazione  infinita di spazio e di aerea libertà, accompagnati dagli stridii dei voli di falchi, dei caroselli di alcuni grifoni e delle vedute sconfinate.
Nuvole che in questo momento, a queste altezze, affiancano ed avvolgono il cammino dei podisti in basso sul crinale, nuvole che con il loro perpetuo movimento  disegnano scenari  mutevoli che arricchiscono il paesaggio di tonalità pittoriche decisamente romantiche.
Ma purtroppo il romanticismo di questa vetta è rotto dal sonoro vocione del mio amico "Mariuccio er matto" che, appena arrivato in vetta, comincia a lamentarsi, a voce alta, di tutti e del mondo intero.
Mi rialzo e dopo un ultimo sguardo alla bella croce a tre dimensioni ed uno sguardo sullo strapiombo sul versante Nord, riparto e comincio a scendere i quasi 900 metri di dislivello che mi porteranno al Prato di Campoli.
La discesa avviene lungo la  cresta  che va verso Sud... e l'arrivo che nitidamente si vede da quassù sembra essere così vicino ( sono quasi 5 chilometri) ..... ma non è così.
A 1700 metri  ricomincia il bosco e, sotto, per un discesista come me, un insidiosissimo strato di foglie bagnate e scivolosissime che per un paio di volte mi mettono il culo per terra.
E qui faccio l'incontro con uno degli oltre 600 cippi di confine  che dividevano lo Stato Pontificio con il Regno delle due Sicilie: un testimone della storia di queste montagne.
Finalmente raggiungo il sentiero di fondo valle intercettandolo  a circa 1350 metri di quota. Pochi minuti al piccolo trotto  e sono all'uscita dal bosco, sui prati di questa splendida oasi naturale. Un piacevole incontro con mandrie di variegati cavalli e splendide mucche che si godono i raggi del tiepido sole e sono quasi all'arrivo.
Un ultimo sguardo indietro, in alto, verso Pizzo Deta.... brividi di freddo  attraversano la mia schiena al ricordo delle sensazioni provate  lassù... dove osano solo le aquile e solo chi ama la montagna come me.

E qui finisce la mia corsa tra le montagne del nostro amato Braf, tra i magici Monti Ernici, dove la natura è ancora forte e presente, dove insiste ancora una montagna antica  e discreta, nata da un mare ancora più antico e sospinta in alto dall'impeto profondo della terra.

Ciao a tutti da Ettore Golvelli, il figlio segreto di Wilbur Smith.


Maria sulle cime dei monti Ernici

Maria sulle cime dei monti Ernici

Gara: Montura Ernica Skyrace (22/06/2014)

SCHEDA GARA



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