L'intervista al podista. Alfredo Donatucci. Chilometri Solidali tra Chilometri Solitari. di Alfredo Donatucci, 27/11/2020Ho letto con piacere la mail del
Presidente della Podistica Solidarietà, Giuseppe Coccia (il caro Pino),
con la quale mi ha informato che stava “facendo articoli sui più rappresentativi e importanti atleti della podistica solidarietà”, quindi “vorrei fare un articolo anche su di te e sulle tue imprese sportive e sul tuo impegno solidale se c’è”, insomma “una specie di biografia”; pertanto, con altrettanto piacere, ho accettato di scrivere qualcosa che, in maniera sintetica, potesse raccontare gli approcci alla corsa e alla Podistica Solidarietà.
Dopo aver appreso varie nozioni sui benefici della corsa e con un cuore già allenato dalla bicicletta e dalla cyclette, domenica (mattina) 13 aprile 2003, nei giorni che precedono la Santa pasqua, con il sole e la temperatura ideale per svolgere attività fisica, decido di correre per la prima volta ponendomi come obiettivo un’ora, ignorando i consigli ricevuti, in particolare,attraverso la lettura di alcuni specifici libri.
Alle 9:00 in punto, mi avvio lentamente sul prato verde di fianco l’abitazione, il cui perimetro misura circa duemila metri. Fin da subito avverto una sostanziale differenza tra il pedalare stando seduti su un sellino e l’intensità della corsa, che indubbiamente si rivela più faticosa; tuttavia, i minuti passano senza difficoltà anche perché cerco di non focalizzare l’attenzione su tale aspetto, evitando di guardare l’orologio. Dopo aver resistito abbastanza, con stupore mi accorgo di aver corso oltre 45 minuti e, di conseguenza, quelli rimanenti non costituiscono più un problema: ad un’ora esatta blocco il cronometro, con orgoglio, mentre continuo a correre lentamente cercando di evitare un arresto brusco; in tutta onestà non riesco ancora a credere di aver corso per 60 minuti di seguito, senza interruzione, mettendo in pratica ciò che era stato detto o che avevo appreso leggendo. Durante la doccia, provo un senso profondo di soddisfazione, consapevole del fatto che ‘l’impresa’ portata a termine sino a qualche tempo prima era considerata impossibile.
Da quel momento, la corsa diventa prioritaria rispetto a tutto il resto e, con costanza, accumulo molti chilometri.
Sabato 25 settembre 2004, stimolato da mia moglie che fa parte del comitato organizzatore, accettando il rischio di rovinare la ‘reputazione’ (di cui involontariamente godo agli occhi delle persone che tutti i giorni mi vedono correre), privo di qualsiasi esperienza ‘agonistica’, mi porto timidamente verso il punto di partenza di una garetta podistica organizzata nel quartiere che, dopo circa 4 km tirati al massimo, vinco riscoprendo il gusto della competizione.
Nel frattempo continuo a correre regolarmente, sia a Roma sia al Lago del Turano, dove, grazie ad un ‘collega podista’, vengo a conoscenza di un sito internet che riporta il calendario delle gare su tutte le distanze. Nel medesimo calendario, la tappa del ‘CorriLaghi’, proprio al Turano,a pochi chilometri da casa, è prevista per il 14 novembre 2004 mentre un’altra gara di 10 km, in programma per il 17 ottobre, si correrà a Tivoli; anche quest’ultima località non è lontana dalla mia abitazione romana, dunque rifletto sulla possibilità di partecipare; leggo, quindi, il volantino pubblicitario e mi regolo sul da farsi.
Nei giorni seguenti effettuo la prova sotto sforzo ed il sanitario responsabile rilascia il previsto certificato, valido per un anno e necessario per partecipare alla gara. L’indomani, mi reco presso la sede U.I.S.P. (Unione Italiana Sport Per Tutti) di Roma dove, previa consegna del certificato medico appena ottenuto, mi viene rilasciata una tessera nominativa che dovrà essere esibita in occasione della competizione sportiva.
Il particolare momento, stimola a considerare sempre con più interesse la partecipazione al ‘Gran Prix di Tivoli’; al fine di acquisire maggiori dettagli, telefono direttamente agli organizzatori tramite i numeri indicati nell’opuscolo propagandistico; cordialmente, gli stessi esaudiscono le richieste formulate, apparse di certo superflue, esagerate e forse anche ingenue. Del resto sono fatto così, non posso farci nulla, se punto un obiettivo cerco in tutti i modi di capire, più a fondo possibile, le cose che gli ruotano intorno; di conseguenza, chiedo di visionare anche l’ordine d’arrivo della passata edizione, in modo tale da controllare il numero dei partecipanti ed i tempi ottenuti. Ad ogni modo, credo di non avere difficoltà a portare a termine la gara, però vorrei farlo in maniera dignitosa cercando di arrivare almeno nelle posizioni di centro classifica.
Qualche giorno dopo, ricevo il messaggio email da parte di una persona sconosciuta, la quale si presenta così: “ciao Alfredo,mi chiamo Pino Coccia e sono il presidente della Società Podistica Solidarietà che sta organizzando insieme a Giorgio la gara di Tivoli del 17 p. v.. Ho saputo che parteciperai come lo scorso anno se non erro e ti ringrazio. Volevo proporti, visto che sei tesserato UISP ma non appartieni a società podistiche FIDAL, di iscriverti con il nostro gruppo podistico e pertanto ti invio una lettera di presentazione dalla quale potrai trarre utili informazioni. Da noi non ci sono impegni né grosse spese annue, quindi se la nostra attività e organizzazione ti piace non esitare a contattarmi ti do i miei numeri… Grazie e potremmo conoscerci a Tivoli. Pino Coccia”.
Trovo la proposta interessante e, soprattutto, convincente poiché l’appartenenza alla Società non vincola in nessuna maniera anche se, in un primo momento, sono sorpreso dato che non ricordo di aver fornito l’indirizzo di posta elettronica, così mi chiedo come abbia potuto ottenerlo ‘Coccia’. Poi, ripenso che avevo intrattenuto corrispondenza (sempre email) con uno degli organizzatori, più precisamente con quello che si era preoccupato di trasmettermi la classifica dell’omonima gara disputata nel 2003; conseguentemente, immagino sia stato lui a dargli il mio recapito e forse intuisco anche il perché: alla gara di Tivoli parteciperò ‘libero’, cioè senza essere iscritto a nessuna squadra podistica, pertanto gli addetti ai lavori, notando l’ingenuità nel porre le più disparate domande, si stanno adoperando per ‘reclutare altriatleti’. Certo non hanno perso tempo, mi domando meravigliato; tra l’altro, essendo caratterialmente riservato, rifletto per decidere cosa fare, giacché quanto accaduto un pochino infastidisce; il gesto istintivo è quello di telefonare all’organizzatore che ha inviato la classifica, per chiedergli se non sarebbe stato meglio chiamarmi prima di ‘vendersi’ l’indirizzo email. Decido, però, di contattare il Presidente della Podistica Solidarietà, per approfondire la sua conoscenza e quella della Squadra; con Lui, intrattengo una lunga e piacevole conversazione, nel corso della quale evitiamo le solite formalità preferendo, reciprocamente, un colloquio diverso e più ‘caloroso’. Pino (così mi ha detto di chiamarlo), riassumendo i contenuti della lettera di presentazione, pone subito l’accento sull’impegno della Squadra circa l’aiuto rivolto ai più bisognosi attraverso il ricavato delle vincite. Parlando poi dei rispettivi impegni professionali, emerge che un elemento della Società sportiva lavora come magistrato nella mia stessa istituzione; dimostrandosi molto disponibile al riguardo, comunica il suo nominativo che però, nonostante abbia capito presso quale sede di Roma opera, non mi sembra di conoscere. Di conseguenza i discorsi fatti da Pino, unitamente agli involontari riscontri forniti, si mostrano sufficienti a convincermi in via definitiva per una prossima adesione, in ogni caso non prima dell’inizio del nuovo anno 2005. Conveniamo, infatti, che un’immediata iscrizione (a fine ottobre 2004) non avrebbe senso, soprattutto perché occorrerebbe corrispondere la quota associativa annua e quella da versare alla FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera) per il rilascio dell’apposito tesserino. Concludo la soddisfacente chiacchierata, con la promessa di cercarlo a Tivoli in occasione della gara, sia per conoscerlo di persona sia per consegnargli copia del certificato medico e del documento di riconoscimento, indispensabili per l’iscrizione alla Società.
Nel periodo che precede l’importante appuntamento, in analogia all’usuale condotta, non dimentico di curare altri ragguardevoli aspetti come l’acquisto una nuova canotta da corsa e una tuta sportiva, da indossare prima e dopo la gara, nonché di recarmi dal barbiere per il taglio dei capelli. Non voglio fare brutta figura alla prima uscita ufficiale, tenuto anche conto che, al di là della gara, a Tivoli dovrò incontrare Pino; infatti, come detto, attende la consegna dei documenti necessari per formalizzare l’iscrizione.
La sera, prima di andare a dormire, preparo con attenzione tutto l’occorrente che poi sistemo in un piccolo zaino; considerando che uscirò da casa con indosso la tuta e calzature sportive, nel medesimo trovano posto le scarpette da corsa, la maglietta, i pantaloncini, i calzini e gli indumenti intimi di ricambio.
La domenica mattina, mi sveglio presto per fare tutto senza fretta: come se dovessi andare in ufficio a lavorare, anziché a correre, non faccio mancare l’abituale rasatura e la calda doccia; di fatto, resto sempre lo stesso anche indossando le nuove vesti del podista amatoriale.
A Tivoli decide di accompagnarmi Antonio, mio suocero (persona straordinaria, sincera ed onesta, che resterà indimenticabile nel cuore); con emozione, mi dice che terrà le chiavi della macchina e resterà vicino il traguardo per fornirmii capi protettivi subito dopo l’arrivo. L’attenzione che Antonio mi riserva in questa circostanza è degna di nota in quanto, calandosi bene nell’insolito ruolo di accompagnatore, mi fa apparire quasi un atleta professionista.
Arrivati nel punto fissato per il ritrovo, che in realtà è la stessa zona di partenza, ci sono gli addetti ai lavori indaffarati a seguire le iscrizioni e la consegna dei pettorali. In quest’occasione, finalmente comprendo con chiarezza cos’è il ‘pacco gara’, vale a dire una sacca contenente prodotti alimentari, integratori energetici ed altri piccoli oggetti.
Espletate le formalità di rito, domando a qualche addetto di indicarmi cortesemente il signor Coccia. Con ancora in mente la cordiale conversazione telefonica, l’incontro con Pino avviene in un clima sereno e di reciproco rispetto; abituato per natura ad ‘annusare’ gli interlocutori, l’impressione che ricevo evidenzia soltanto aspetti positivi: pur conoscendolo da pochi istanti, colloquiamo come vecchi amici che si stimano già da tempo. Manifestandogli una certa tensione, inevitabilmente connessa alla gara, non risparmia belle parole per incoraggiarmi ad affrontarla con serenità.
A meno di un’ora dalla partenza, le strade adiacenti sono invase dai podisti che corrono lentamente scambiandosi impressioni e commentando gli aspetti organizzativi della manifestazione. In questa prima esperienza anche l’ambiente in generale sembra buono, più che altro perché privato del classico chiasso da stadio, che non ho mai gradito neanche da bambino. Incuriosito, guardo intorno per vedere se tra corridori e pubblico, che comincia a radunarsi in Piazza Garibaldi, ci sia qualcuno che conosco. Tra l’altro attendo l’arrivo di Giampiero, un amico e collega di lavoro, che correndo ormai da anni ha raggiunto ottimi livelli e si classifica sempre nelle prime posizioni, a ridosso dei migliori in assoluto.
Con il passare dei minuti, la fase di riscaldamento entra nel vivo e così anch’io sento il bisogno di iniziare a prepararmi per cercare di affrontare, nelle migliori condizioni, l’attesa sfida. Arrivato il momento decisivo, lo speaker invita ad occupare i posti sotto l’arco di partenza; io mi schiero in mezzo, vicino ad un folto gruppo d’atleti che vestono il completo con i colori distintivi della Podistica Solidarietà. A questo punto il Presidente Coccia, in qualità di organizzatore, prende il microfono per precisare che il percorso di gara misura 10 km e 600 metri e che sono previsti due giri nel centro della città, il primo più lungo ed il secondo leggermente più corto. Dopodiché, con un calorosissimo ‘imbocca al lupo’ rivolto ai partecipanti, si appresta a farsi da parte nell’attesa di dare il via ufficiale alla corsa.
Pochi istanti ancora e poi, per la prima volta in assoluto, sento il classico colpo di pistola che mette tutti in movimento. Siamo ormai partiti, la strada inizialmente è stretta e occorre stare attenti per evitare di inciampare con gli altri; tenendomi il più possibile sul margine destro, poco più avanti inizio a superare i concorrenti più lenti impostando un ritmo sostenuto. Nel primo rettilineo riesco a vedere davanti il gruppo degli atleti in testa alla corsa, poi gradualmente sembrano sparire; dopo circa 4 km arriva un tratto in discesa, molto impegnativo e veloce, ove l’impressione di riuscire ad esprimermi al meglio delle possibilità fa ingenuamente intuire un esito finale dignitoso. Finita la discesa, la strada torna ad essere piatta ed il passaggio sotto un tunnel, mentre sono affiancato ad altri concorrenti, rende la gara ancora più emozionante. Percorsi altri 500/600 metri accade l’imprevisto, in pratica qualcosa che non avevo minimamente considerato e che di colpo rovina la ‘festa’ tanto attesa. Svoltando a sinistra, non trovo più la strada piana o la discesa bensì una salita, che dopo qualche falcata diventa a poco a poco più ripida, a tal punto che sembra quasi esserci un ‘muro’ che frena la corsa. Purtroppo, in precedenza non avevo mai corso in simili condizioni perché le iniziali esperienze sul prato vicino casa, e poi le successive uscite in strada, erano sempre caratterizzate da ‘percorsi piatti’. Soltanto al Turano, in qualche rara occasione, si era presentata la possibilità di correre su tracciati ricchi di saliscendi ma, ovviamente, ciò non era finalizzato a sostenere allenamenti specifici per affrontare con efficienza una gara (in salita); anzi, proprio nella predetta località, le uscite erano state veramente rilassanti e prive di forzature muscolari.
Mi ritrovo, dunque, a ‘gestire’ una situazione faticosa che fa soffrire tremendamente; nonostante tutto, mi impegno evitando di camminare giacché, fare questo, significherebbe un crollo e un fallimento. Smettendo di correre, non finirebbe soltanto la corsa ma tutto ciò che fino a questo momento è stato costruito con sacrificio: la fiducia nelle proprie capacità, ne uscirebbe sicuramente compromessa. A fatica resisto ma giuro a me stesso che sarà la prima e l’ultima gara della vita; in questi momenti quasi maledico il giorno in cui mi sono iscritto, così come il contatto ed il successivo incontro con Pino, che alla fine non ha nessuna colpa. L’unico responsabile di questa assurda sofferenza, dell’illogico sforzo fisico e mentale, sono soltanto io e nessun altro; mi chiedo come farò in simili condizioni ad affrontare il secondo giro e se effettivamente riuscirò a rivedere ancora vivo il micidiale ‘muro’.
Correndo lentamente, perdo il vantaggio accumulato soprattutto nel primo tratto di gara e sono superato da molti concorrenti con facilità; alcuni di loro sembrano più grandi di me e ciò contribuisce a creare ulteriore sconforto. Nel momento in cui il senso d’affaticamento sta per giungere al culmine, fortunatamente anche la salita finisce e poco più avanti è ben visibile il punto di ristoro con giovani ragazze impegnate a distribuire acqua ai partecipanti; in piedi, sulla destra, riconosco Pino che, prontamente, mi chiama per nome incitandomi con frizzanti parole. La cosa fa enormemente piacere, anche se per un attimo resto meravigliato per l’eccellente memoria fotografica dimostrata, atteso che ci siamo conosciuti da meno di un’ora e non vesto neanche il completo ufficiale della Squadra. Comunque, mi rendo conto di non avere la voglia e tanto meno la forza di rispondergli, o più semplicemente di guardarlo in faccia in segno di ringraziamento; in questi frangenti sento che il volto deve avere un aspetto orribile, tanto da provare vergogna al passaggio davanti alle graziose signorine addette ai ristori.
Sentire adesso la strada diventare quasi pianeggiante è una sensazione che riempie il cuore di gioia, un autentico sollievo per corpo, mente e spirito. In questo momento, ripenso ad una bella frase che qualche tempo prima un amico aveva pronunciato durante una cena, ossia “non importa come soffia il vento, ciò che conta è come spieghi le tue vele”. Io onestamente non riesco a spiegarle per bene però sento improvvisamente un aumento di energia, che utilizzo subito ridando forza all’azione di corsa, sino a quell’istante scadente. Riprendo dunque a tirare, o almeno così sembra, ma i chilometri passano a fatica ed il traguardo diventa una meta irraggiungibile.
Sono ormai nel secondo giro, quello che in base alle indicazioni fornite dovrebbe essere più corto del precedente, tuttavia ritrovo il rettilineo, la veloce discesa e poi ancora l’insopportabile salitone, che a causa delle ridotte energie diventa adesso allucinante; contemporaneamente, mi superano due concorrenti femminili ed un forte imbarazzo, per la palese inadeguatezza, mi assale atrocemente poiché senza volerlo le due ragazze portano alla luce gli attuali limiti: vederle sfilare di fianco e non essere in grado di resistere significa aver gettato la spugna, proprio nella disciplina dell’amata corsa alla quale ho dedicato tempo e passione (i momenti di soddisfazione, vissuti durante l’imparagonabile ‘maratonina di quartiere’, sembrano ora un lontano ricordo).
A conclusione della salita anziché girare a sinistra, come nel primo giro, seguendo le indicazioni dei commissari di gara, si svolta verso destra in direzione del traguardo; nei pressi, al di là delle transenne che isolano il percorso, uno spettatore grida ad alta voce “è finita, mancano solo cinquecento metri”; tale distanza vale meno di niente quando sono in ottime condizioni, però adesso è interminabile e più lunga dei 27 km saggiati undici giorni prima durante un allenamento.
Nel percorrere l’ultimo tratto leggermente scosceso, quando immagino che tutto sia finito, arriva la ciliegina sulla torta: la linea d’arrivo, caratterizzata da un visibile arco gonfiabile, non si trova più nello stesso punto da dove siamo partiti ma è stata posta in posizione rialzata, rispetto alla sede stradale, così per raggiungerla occorre ancora superare una piccola rampa di circa cento metri; con gli applausi del pubblico emergono gli ultimi residui di forze e pertanto mi avvio spedito a tagliare il traguardo, mentre sono superato da un altro concorrente che, nonostante l’età, evidenzia una grinta invidiabile.
La sofferenza termina esattamente dopo 43 minuti e 33 secondi, il tempo necessario per coprire la distanza di 10,600 km. Con molta rapidità un giudice di gara annota il numero di pettorale su un apposito elenco progressivo, che già riporta i rilievi cronometrici ed i relativi piazzamenti dei concorrenti che mi hanno preceduto.
Trovarmi dall’altra parte dell’arco che delimita l’arrivo dà un senso di sicurezza e pace, ma in ogni caso non priva del forte ‘sconvolgimento’ che, all’improvviso, mi assale; addirittura non tengo conto delle presenze di mio suocero, che cerca in tutti i modi di porgermi una maglietta protettiva e di Luigi, un caro amico di Tivoli che è venuto a salutarmi. Sono costretto a restare tranquillo con me stesso per molti minuti, quelli che occorrono per calmare l’adrenalina che è salita alle stelle e riacquistare almeno un’apparente serenità.
Nel momento in cui inizio a togliermi i pantaloncini e la canotta, letteralmente inzuppati di sudore, accade qualcosa di strano che resterà per sempre impresso nella memoria: di colpo, il senso di fatica e di sconforto mentale scompaiono, come se fossero sostituiti da profonde sensazioni di piacere e di appagamento, talmente forti da farmi visualizzare il calendario delle gare per cercare di ricordare dove e quando si terrà la prossima.
I ‘pensieri positivi’ iniziano pian piano a sostituire quelli che in precedenza mi avevano stravolto, portandomi addirittura a prendermela con il Presidente della Podistica Solidarietà; adesso, invece, sto bene e ‘su di giri’, a tal punto che abbraccio fortissimo prima mio suocero e poi Luigi, ma vorrei poterlo fare anche con Pino che però è indaffarato a preparare il cerimoniale per l’assegnazione dei premi; dopo ciò che ho pensato nei suoi riguardi, desidero in un certo senso scusarmi e vorrei tanto stringergli la mano e ringraziarlo per la favolosa opportunità che mi ha offerto.
Luigi fissa i miei occhi ed è commosso, come se gli restasse difficile credere che la persona di fronte sia proprio io: ci siamo conosciuti in ‘ambienti istituzionali’ e ora gli appare un’immagine sicuramente distorta; nonostante ciò, le parole superlative che usa per esprimersi nella circostanza toccano sinceramente, provocando emozione.
Con lo sguardo lucido, mio suocero insiste affinché prenda qualcosa da mangiare o da bere, visto che i tavoli per il ristoro sono imbanditi di varie specialità, che festose signore servono cordialmente.
Verso mezzogiorno, nell’attesa delle premiazioni, sono presenti molte persone del pubblico e rappresentanti di società che hanno disputato la gara; io certamente non sarò tra quelli ricompensati per la fatica, però non voglio andarmene adesso che ho la possibilità di vedere da vicino il giovane ragazzo dell’Esercito, che ha vinto la gara facendo registrare un tempo fantastico. Tutto si svolge con tranquillità e in maniera ordinata, rispecchiando le mie abitudini e rivelandosi un ulteriore stimolo per continuare, in futuro, ad interessarmi al ‘mondo podistico’ che incomincia a piacermi.
Più tardi vengo a sapere di essermi classificato al 54° posto assoluto su 235 atleti giunti al traguardo, mentre non conosco con esattezza il piazzamento nella categoria master 35; virtualmente, risulto 8° tra i 74 atleti della Podistica Solidarietà.
Ovviamente tutto ciò fa piacere, tanto che vorrei partecipare la gioia all’intera nazione, ma siccome non interesserebbe a nessuno mi limito ad inviare ‘sms’ soltanto a qualche amico che si era interessato all’evento.
Per l’intera giornata mi accompagna un piacevole senso d’euforia, mentre la sera a letto si risveglia l’adrenalina che rende il corpo stranamente elettrizzato; poi le parti salienti della gara si ripresentano nitide nei pensieri, dalla discesa alla salita fino all’irraggiungibile traguardo.
Il martedì successivo (19 ottobre 2004), ancora euforico, invio due email d’apprezzamento, una all’organizzatore che per primo aveva trasmesso la vecchia classifica e l’altra che segue a Coccia: “ciao Pino,volevo dirti che mi ha fatto molto piacere conoscerti domenica a Tivoli ma soprattutto desideravo far giungere i più sinceri complimenti per l’organizzazione veramente eccellente. Come ti avevo detto, era la prima gara cui partecipavo e – salite a parte, dove non ero neanche mentalmente preparato – mi sono divertito tantissimo. A presto!Alfredo”.
Nello stesso giorno, ricevo una sintetica ma calorosa risposta da parte del Presidente della Podistica Solidarietà: “ciao Alfredo,anche per me è stato un piacere conoscerti e ti ringrazio per aver aderito al nostro gruppo.Ti ringrazio per aver apprezzato la nostra organizzazione e la nostra gara, ti auguro di correre con noi ancora tante volte. A presto, Pino”.
Mantenendo fede ai pensieri che avevano invaso la mente dopo il traguardo a Tivoli, il successivo 31 ottobre 2004 partecipo alla ‘manifestazione podistica della Garbatella’ (10 km) e da lì in avanti hoper-corso parecchi chilometri.
Considerando anche quelli registrati in precedenza, dal primo gennaio 2004 al 31 ottobre 2020 ho totalizzato 43.815,208 km, che racchiudono 283 gare (l’ultima, la Best Woman a Fiumicino, domenica primo dicembre 2019); più precisamente, ho disputato 281 gare con la Podistica Solidarietà e 2 con le Fiamme Azzurre, di cui 14 maratone, 18 mezze maratone e 14 ultra mezze maratone.
Durante questa splendida ‘parentesi podistica-agonistica’, interrotta per pubalgia dal 10 ottobre 2011 al 29 settembre 2012, le soddisfazioni sono state tante e intense, come ad esempio quelle che hanno accompagnato i record personali: nei 5 km (17:56 - 2007), 10 km (36:21 -2011), 21.097 km (h 1:20,12 – 2011), 42,195 km (h 3:01,10 – 2011) e nell’ora in pista (15.464 km - 2014).
Il ricordo più bello, però, forse è legato alla prima gara disputata a Tivoli, prima ampiamente descritta, ma certamente non sono da meno quelli vissuti a ltermine di due maratone, corse più velocemente nella seconda parte, ovvero ad Ostia nel 2006, chiusa in h 3:10,02 (h 1:37,15 - h 1:32,47) e a Roma nel 2017, conclusa in h3:06,37 (h 1:33,26 - h 1:33,11).
La preparazione non è mai stata particolarmente mirata, tanto meno scrupolosa sulla base delle indicazioni di chissà quale allenatore; semplicemente, adeguata alle gare da disputare, ogni volta ho allungato (come pure diminuito) il chilometraggio dell’allenamento giornaliero o settimanale, oppure corso più forte distanze corte per poi rendere meglio durante le competizioni.
Ripensarci adesso, sembra quasi impossibile aver accumulato così tanti chilometri nel corso degli anni; l’incredulità, nondimeno, si manifesta anche di fronte a certi ricordi, come quelli riferiti alle tre pizze (fatte in casa da Tiziana), con patate e mozzarella, mangiate la sera prima di una maratona (di Roma), oppure agli interminabili pranzi dopo aver concluso distanze analoghe, con la piacevole sensazione di aver dato ‘un’accelerazione’ incredibile al metabolismo.
Oggi, (5 novembre 2020), al di là delle gare, che oltre tutto sembrano (almeno per me) tramontate anche a causa dell’emergenza sanitaria (‘coronavirus’) ancora in atto, continuo a correre per non privarmi di quel benessere psicofisico che la ‘disciplina’ regala; l’ultima corsa, di cui sento ancora l’inconfondibile ‘profumo’, l’ho registrata nella mia ‘tabella informatica’ ieri pomeriggio, annotando 15 km in h 1:13,18.
E sempre oggi, dopo 6416 giorni di corsa, la maggior parte vissuti nel quartiere in cui abito ma anche sulle strade (saliscendi) che costeggiano il lago del Turano (in provincia di Rieti), fa piacere sapere che altre persone (familiari, amici e conoscenti) si sono ‘contagiate’ della stessa identica passione; personalmente, finché sarà possibile, desidero continuare a correre anche se ormai ho rinunciato a scoprire se ‘corro perché sono felice o se sono felice perché corro’.
Alfredo Donatucci
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