Cronaca di un allenamento strampalato e indimenticabile... di Francesca Castro, 05/01/2010
Francesca Castro ... un giro a forma di grande mela
L’ho visto in mille film. L’ho sognato ascoltando le parole pacifiste e rivoluzionarie di Hair, il musical che adoro e su cui ho fatto un milione di sogni. L’ho intravisto un’estate di tanti anni fa, quando non potevo nemmeno immaginare parole come Asics, integratori, ripetute.
Ma come si fa ad andare a fare una passeggiata a Central Park? Voglio dire, solo una passeggiata? Se il tuo programma di allenamento prevede un lungo… anche se fa meno 7 e sta nevicando e c’è un vento gelido che ti fa venire voglia di smettere di respirare. Anche se il tuo cuore ti sta avvertendo che c’è un fuso orario di 6 ore, e che tutto sommato qui non si mangia né pizza né pasta quindi forse tra poco ti salterà fuori dal petto per finire nel bel laghetto ghiacciato che stai guardando… mica sono così allenata! Però avevo il piacere di provare a farlo e un’ottima compagnia, il coraggiosissimo Fabrizio con cui facciamo a gara a inventarci stramberie da proporci.
Poco prima al Moma c’era una bella mostra di Tim Burton, e il museo è proprio a pochi isolati da Central Park! Siamo a New York, qui sono abituati a tutto e nessuno ci guarderà se andiamo al museo direttamente vestiti in tuta per poi uscire dalla mostra e attraversare un paio di strade per iniziare il nostro allenamento!
Museum of Modern Art di New York
Infatti nessuno ci ha guardato. Usciti dal Moma, dove già ero a rischio di sindrome di Stendhal (Picasso! Gaugin! Van Gogh! Duchamp! Aiuto!), ci buttiamo nell’aria gelida dell’Ombelico del Mondo.
La cosa veramente difficile è stata superare l’impatto iniziale del gelo che ci mordeva le orecchie e spianava i polmoni, e che faceva pensare “ma che stiamo facendo? Ora ci fermiamo, tra poco ci fermiamo, solo un pochino!”.
Invece Central Park brulicava di scarpe da corsa e di buffi personaggi, alti, bassi, dall’aria pingue o convinti “mostri aerobici” che sfrecciavano in pantaloncini corti come fosse primavera. C’era persino un tizio che correva cantando a squarciagola una canzone sconosciuta nel suo I pod. La folla era simile a un pre gara, quando gli atleti si scaldano e vedi movimento dovunque, un vai e vieni fatto di ritmi diversi, di passi rapidi o affaticati, di teste che pensano o gruppi di runner che scambiano qualche parola.
Facendo il giro del parco è bello vedere i laghetti ghiacciati su cui le persone pattinano, il suono della musica e il profumo di noccioline caramellate che viene dai baracchini dei venditori ambulanti. Si vede bene anche il Guggenheim, con la sua struttura bianca a chiocciola che sembra segua le linee di una conchiglia, e poi si arriva facilmente a vedere due palazzi con un panorama che mi pare aver capito chiamino “Strawberry Fields”, il posto dove nel 1980 purtroppo è stato ucciso Jhon Lennon.
C’era della gente che portava i fiori, e sono passati trent’anni. E’ tutto pulito, c’è polizia ad ogni angolo e il rumore del traffico è una nenia non molto lontana che fa da sottofondo e ricorda la canzone “Streets of Philadelphia” di Bruce Springsteen.
Senza accorgermene, il freddo era passato così come la fame e i chilometri che avevamo deciso di fare. Un taxi al volo, per tornare subito al caldo e cambiarsi e ripartire. Con un altro ricordo indelebile per cui devo ringraziare le mie scarpe da corsa e chi mi ha iniziato a questo sport.
Harmony and understanding
Sympathy and trust abounding
No more falsehoods or derisions
Golden living dreams of visions
Mystic crystal revalation
And the mind's true liberation
Aquarius!
(“Aquarius”, Hair, 1969)
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Francesca Castro |