Quando corro in montagna sono sempre alla ricerca di tracce e testimonianze del passato, oppure di qualche uccello o di animali selvatici o di fiori d'alta quota. E correndo, correndo o ... camminando, quando arrivo in vetta, vi sosto un attimo, come in preghiera. Perché è fantastico stare lassù quando le distanze tra il cielo e la terra si raccorciano, quando la vista si perde negli spazi infiniti e, quando in basso, è tutta roccia, conche, valli e canaloni.
Forse ti senti onnipotente come un Dio dell'Olimpo greco o, viceversa, ti senti piccolo piccolo, solo e sperduto nell'universo mondo, o tutte due le cose insieme, in un altalena di sensazioni da farti vacillare la mente. E Celano ti fa questo effetto.
Un tempo questa cittadina era il luogo più importante di tutta la Marsica e ancora oggi porta i segni della passata grandezza poiché si eleva fiera lassù, in braccio alla sua nobile serra, con i suoi colori oro e rosso bruno consumati dal tempo. Un imponente montagna che protegge Celano dai venti freddi del Nord, una "
dolce signora" adagiata che con la sua verde chioma che lambisce le prime case dell'abitato. E s'innalza come un piano inclinato e poi si impenna e precipita da ogni parte con creste e dirupi. Celano, sebbene sospesa sul limitare di una terra selvaggia, possiede anche un aspetto dolce e gentile perché è una cittadina di grande cultura e i suoi abitanti hanno un grande gusto della vita.
La corsa è solo un dettaglio in questa splendida giornata passata tra le montagne. Eh si! Le montagne, abituati a vederle sempre, non le vediamo mai, come distratti dai rumori del mondo. Ma basta fermarsi un attimo a rimirarle e, innevate o no, ci riempiono il cuore di gioia, maestose e belle come sono.
Si parte e, dopo aver attraversato un bosco devastato dagli ultimi terremoti meteorologici, si arriva al primo gioiello della giornata: il
Prato di San Vittorino. Questo prato è come un balcone verde che si affaccia su di un panorama stupendo: la
Conca del Fucino. Il pianoro è pieno di fiori colorati: dal celeste della
borragine al giallo della
genziana, la
pulsatilla alpina detta anche "fiore del vento" che quassù è sempre presente e forte, ma soprattutto piante di
asfodeli: per Omero questo fiore è la pianta degli inferi e per gli antichi greci i prati di asfodeli erano una specie di purgatorio che ospitava quelli che in vita non erano stati ne buoni ne cattivi. Non mancano le piante di
romno alpino, arbusto tipico di queste zone e i suoi frutti rappresentano per l'orso una vera prelibatezza (speriamo di non incontrarne qualcuno).
Si continua a salire e finalmente si arriva in cima al
Monte Tino, la cima della Serra di Celano.
E qui si apre il sipario e comincia lo spettacolo:
La
Serra di Celano, vista dall'alto, è una bella cresta aerea che disegna un arco proprio a ridosso delle Gole, guardando in basso. Guardando lontano ci si scorge a malapena il
Gran Sasso con i suoi ... gioielli, la cresta del
Sirente e la
Maiella con ... i suoi figli a seguito. E tutti i paesi sottostanti: Aielli, adagiato su di uno sperone di roccia; Santa Iona, con la sua bellissima torre di avvistamento; Ovindoli, con la sua splendida vallata.
Il
Monte Etra che guarda da vicino il Monte Tino e, chissà se c'è un perché al maschile e al femminile di questi nomi, i due monti sembrano amanti che non potranno mai completarsi un con l'altro, condannati solo a guardarsi e divisi dal salto nel vuoto delle
Gole di Celano.
Queste gole sono la vera caratteristica di questo posto. Una valle pensile originata da un torrente che ha creato uno dei canyon naturali più suggestivi di tutto l'Appennino. Una sua caratteristica è quella di essere invisibile a chi arriva dalla pianura in quanto, al suo imbocco, delle discrete pareti a picco stringono il panorama. Uno spettacolo grandioso, due pareti di roccia vicinissime tra loro che scendono a picco per centinaia di metri, sul torrente
Rio Foce che per millenni, con una lenta ed inesorabile erosione, le ha scavate. Il fondo delle Gole è occupato dal greto sassoso del fiume che vi scorre solo nei periodi più piovosi, raccogliendo l'acqua dai versanti circostanti.
Dalla cima di Monte Tino qualsiasi rilievo scopre un panorama, qualsiasi valle proietta lo sguardo verso piccoli massicci montuosi, qualsiasi roccia scopre il miracolo del paziente lavoro carsico e di limatura del freddo e del ghiaccio. E qualsiasi stazione rivela caratteri pieni, colori miti e accesi ... e il vento, che sulla cresta di Monte Tino mi taglia la faccia, in lontananza diventa una brezza dolce e leggera che attenua i colori riverberati delle pareti calcaree dei monti ...
Adesso scendo lentamente verso Celano attraversando splendidi declivi erbosi e, dopo aver attraversato il
Sentiero Storico o di
Cascalacqua, dove si può ammirare una piccola cascata, si arriva al traguardo sotto le severe mura del castello.
Nella piazza di Celano c'è un muretto dove "i filosofi" del paese sono soliti stare pigramente seduti a meditare sulla superiorità di Celano nei confronti della sottostante e vicina Avezzano, cresciuta nell'opulenza e nei benefici ricavati dalla coltivazione del lago prosciugato.
Io, prima di andarmene via, mi fermo sul parapetto della piazza e mi guardo estasiato questa pianura che un tempo era uno specchio d'acqua di grande estensione. Mi si avvicina un vecchietto del posto, uno di quelli che aveva fatto il solenne giuramento di non scendere mai nella pianura sottostante perché non "utilizzabile" dalla sua nobile Celano. E mi racconta con enfasi che
un tempo quando, azzurra come la natura volle, l'acqua disegnava tutt'intorno l'immagine vera del lago. E vi faceva corona il volo degli uccelli, l'ombra vicina dei monti e la pace serena delle notti estive. Come brillavano quelle acque immacolate allo splendere del sole durante il giorno e quando la sera, in estate, vi si specchiava la luna.
E come luccicavano gli occhi nel raccontare ciò che gli era stato raccontato per generazioni ... e s'intristiva. Non riusciva ad assuefarsi all'idea che quel solenne lago, che per migliaia di anni aveva specchiato nelle sue acque questi monti severi e maestosi, sia scomparso per sempre.
Lo saluto con un comprensivo sorriso e con la promessa di ritornare per ascoltare altre antiche storie.
Che meraviglioso specchio deve essere stato il lago nella sua integrità. Oggi invece è solamente una pianura disegnata con l'irritante regolarità di una scacchiera. Quanta nostalgia per quel lago, nel rimpianto del bello, con la sincera condanna per l'uomo che tutto distrusse d'un colpo.
Povero lago antico, povero lago amico.