Perché correre, perché con Podistica, perché in gara. di Roberto Lombardi, 30/04/2013
Gli Orange alla 'foto di rito' invadono la pedana dello Stadio Nando Martellini Potevamo tutti essere una di quelle persone che passeggiavano per il Parco della Caffarella domenica 28 aprile.
Passeggiavano mentre si stava disputando l’ennesima edizione dell’ APPIA RUN, magari portando un cane al guinzaglio che si chiama “Semola”, mentre 2500 corridori, ansando ci passavano accanto, affaticati e sudati.
Non avremmo fatto del male a nessuno.
La Domenica è un giorno di riposo, in fondo.
E invece no. Lì a dare l’anima. Una maledizione? Un castigo? Una Vocazione? No, parole troppo grosse per una corsa. E ne discutevamo al settimo km con Giancarlo, un runner orange che stava “educando” due neofiti assecondando il loro passo.
Azzarderò qualche tentativo di spiegazione desunto dalla piccola esperienza di alcuni episodi che regolarmente testimoniamo ad ogni gara.
Cominciamo da un incubo ricorrente. Sogno di arrivare tardi alla gara e, disperato, mi accorgo che dovrò guardare gli altri o rincorrere senza speranza in un’inutile corsa solitaria.
Stavolta l’incubo si stava trasformando in realtà.
Arrivo al gazebo di Podistica e la voce tuonante del Pres ci esorta a prendere posizione per la foto di gruppo.
Panico.
Ho appena ritirato il pettorale, ho ancora in dosso la tuta. Non voglio perdere l’occasione di essere immortalato e lascio in un angolo le apparenze: sarò nel gruppo.
Alcune piccole scelte si rivelano più importanti di quello che sono nella loro piccolezza.
L’abbraccio fisico dei compagni di squadra e il grido che si leva alto “PER PODISTICA HIP HIP HURRA’!” ripetuto tre volte scuote lo Stadio delle Terme di Caracalla. Tutte le altre squadre ci guardano con un misto di ammirazione e invidia. Per una volta, visto il Palmares di PODISTICA SOLIDARIETA’, tutti abbiamo diritto di sentirci come il Barcellona o il Manchester United.
Una nota di orgoglio che ogni orange è bene conservi.
Già prima di partire mi sento galvanizzato. E un’altra emozione arriva quando trovo, con il pettorale, un nastrino per commemorare le vittime di Boston. Lo indosso al polso, sbrigandomi: la vestizione, stavolta, deve essere rapidissima e poco rituale se voglio riscaldarmi.
E comincia la gara… Fin da subito so che solo arrivare al termine sarà un grosso risultato e francamente non mi vergogno di dirlo.
Questo è il momento di trovare motivazioni per tutti i podisti dilettanti che arrivano tra gli ultimi.
Perché gareggiare? Perché non fermarsi ad un jogging senza regole, orologi e impegni?
Fondamentalmente perché accettare di gareggiare con un chip che registrerà il tempo da un senso di responsabilità. Il coraggio di riconoscere di essere arrivati molto dopo molti.
E allora?
Forse per la soddisfazione di dire “io c’ero”.
Forse solo per poter dire di aver visto un altro corridore regalare ad un passante il nastrino di Boston per ricordare che in molti aspetti i runners hanno il cuore grande.
Forse perché mi sento fortunato se penso che una signora a cui la corsa stava chiudendo la strada si lamentava con un vigile dicendo “io devo andare a lavorare”.
E alle dieci di mattina di domenica comincia la dura attività di chi deve prestare la sua opera nei ristoranti.
Forse perché al traguardo, come raccontano tutte le donne che hanno dato la luce ad un figlio, tutte le sofferenze si dimenticano in un attimo.
E si pensa solo:” a quando la prossima gara?”
Perché faccio le gare con Podistica?
Perché amo quello che vedo negli occhi di chi corre con me.
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Roberto Lombardi Gara: Appia Run (28/04/2013) SCHEDA GARA |