Il sogno ... americano
di Cristiano Giovannangeli, 04/05/2017Ufficialmente
la mia Maratona di Boston inizia la sera del 15 Aprile del 2013, quando chiamato da mia madre vengo a conoscenza tramite Tg News 24 della tragica notizia dell’attacco terroristico, tramite due bombe, in quella che tutti fino all’ora conoscevamo solamente come la più antica maratona del mondo.
Le crudeli immagini delle due esplosioni, a pochi metri dal traguardo, tra la folla festante per l’arrivo degli atleti ha scosso la mia coscienza alimentando in me un senso di voglia di partecipare in qualche modo al ricordo delle vittime (
in primis il piccolo Martin di soli 8 anni) e di sostegno per gli oltre 150 feriti, molti dei quali hanno ricevuto amputazioni degli arti e non solo. Quel mondo della corsa, che sempre associavo ad una celebrazione di un giorno di festa, di congregazione e di scambio di giusti ideali, drammaticamente si risveglia non più inattaccabile, ma anch'esso vittima di chi, in nome di una religione mal interpretata, si sfoga su vittime innocenti lontanissime dalla voglia di guerra e di provocare dolore agli altri.
Impossibilitato per le successive due edizioni, nel settembre 2016 decido di provare ad iscrivermi alla Maratona edizione 2017. Leggendo il regolamento oltre al requisito principale di aver corso almeno nell’ultimo anno una maratona sotto un tempo che comunque avevo raggiunto, bisognava iscriversi solamente in 3 giorni esclusivi ed essere poi i fortunati estratti di un numero che si chiudeva a 30 mila unità. Pensavo fosse cosa facile fino alla mail che scusava i circa 25 mila per non essere entrati di diritto, ma poi eccone subito un’altra che si congratulava con me per essere invece rientrato tra i partecipanti:
sì avrei partecipato alla 121ª edizione della Maratona di Boston!
Nel frattempo mi organizzo con il volo aereo tanto da poter giocare in anticipo, vista la concomitanza di questa edizione con la Pasqua e successivamente a Novembre testo la distanza dei 42,125 km in quella di Firenze chiudendo con un brillante 2:58 chiuso senza neanche troppi sforzi e che mi incoraggiava nella tappa di avvicinamento al mio obiettivo primaverile negli Usa. Con una ligia ed attenta preparazione, cerco di non tralasciare nulla, simulando percorsi simili a quelli di Boston e allenandomi su climi diversi vista l’imprevedibilità climatica del New England nel mese di Aprile.
In men che non si dica arriva il giorno della partenza e mi sento già eccitato al solo pensiero di entrare per la prima volta negli Stati Uniti e di assaporare l’aria di quella cultura vista solo nei film. Alloggio nel quartiere Cambridge di Boston presso la casa di un ragazzo italiano presidente degli Italiani frequentanti il MIT, il prestigiosissimo istituto tecnologico del Massachusetts. Lui e la sua compagna americana hanno reso ancor più bello il mio soggiorno, coinvolgendomi in ogni loro evento e soprattutto facendomi addentrare pienamente nella vita quotidiana bostoniana, con serate tra amici, barbecue in giardino in stile o semplicemente passeggiate in città.
Arrivato in città 4 giorni prima della gara, avevo molto tempo da dedicare al divertimento e tante cose da fare, ma per non stancarmi troppo preferisco limitarmi.
Ad una cosa però non potevo rinunciare: la 5 km non competitiva in memoria delle vittime e feriti dell’attentato, corsa per le strade del centro di Boston il giorno dell’anniversario. Una meravigliosa giornata di sole ha fatto da contorno ad una corsa dove hanno partecipato circa 30.000 persone di ogni genere, bambini, anziani, donne con il passeggino, ragazzi mascherati, marines, poliziotti, gente di tutte le razze e colori uniti in un fiume festante di colori e festosità visibile nel volto di tutti i partecipanti e spettatori. Anche il mio cuore si riempie di gioia e quei 5 km speravo non finissero mai,
all’arrivo abbraccio tutti, chi se ne importa se non ci conosciamo oggi siamo qui per festeggiare la vittoria del bene dell’umanità!
Per la prima volta dopo mesi la maratona che dovevo correre passa in secondo piano, mi sentivo già realizzato per aver ricordato in quel modo così festoso un evento che tanto mi aveva scosso. Il giorno successivo è dedicato al rilassamento e alla concentrazione per la gara vera e propria del giorno successivo ed un caldo inaspettato di oltre i 35° mi fa pensare che l’indomani ci sarà da sudare in tutti i sensi. La pioggerellina serale non fa altro che peggiorare la situazione, aumentando l'umidità, tanto che la mattina uscendo da casa la temperatura segna oltre i 20° già alle 6 del mattino. Non voglio neanche pensarci, sono qui negli USA, si corre e vada come vada.
Il lungo trasferimento alla città di partenza Hopkinton su di un classico Scuola Bus americano mi fa rendere conto di quanto sono tanti 42 km, fortunatamente vicino a me c’è un simpatico Californiano con il quale intraprendo una cordiale chiacchierata che mi fa distogliere il pensiero dalla distanza e del caldo; usciti dal bus non ci saremmo più rivisti, ognuno troppo preso dal suo obiettivo…
Hopkinton è una classica cittadina di campagna americana con alberi di abeti, case di legno con giardino con il tipico vecchino a fumare la pipa sulla sedia a dondolo ed il cane a correre felice nei prati. Tutto qui è meravigliosamente ben organizzato, ristori per fare colazione, bevande e gel energetici, migliaia di bagni chimici, angoli con musica in cuffia per rilassarsi, massaggiatori … non so cosa altro potesse mancare.
A breve tramite uno schermo gigante e altoparlanti vengono chiamati gli atleti della prima onda nella quale ci sono anche io, veniamo indirizzati su un viale del piccolo paesino davanti una chiesetta anch’essa di legno che mi ricordava molto quella della serie Tv “La casa nella prateria“. Prima della partenza non poteva mancare l’alza bandiera con l’inno americano cantato dal vivo, a testimoniare il loro forte nazionalismo ed infine due caccia americani a bassa quota sostituiscono il classico sparo di pistola: si parte!
La corsa si svolge tra due ali di folla lunga 42 km, attraversando vari paesini tutti festanti: per loro è il Patriot’s day, è il giorno del barbecue, dei bambini che giocano, della maratona e dell’incitamento a tutti gli atleti, che siano keniani o grassoni più di chi è li a tracannarsi birre dal mattino, è il giorno delle collegiali del Wellesley College in cerca di un bacio del podista (tradizione rispettata!), della pennica dopo pranzo sotto l’albero, delle campane suonanti a festa in ogni piazza dei 5 comuni attraversati …
Odori, colori e suoni che non dimenticherò mai più, non importa se quel giorno non era adatto a correre, non importa aver corso lontanissimo dai miei tempi usuali e non importa aver corso 12 km con lancinanti dolori di crampi;
per più di 3 ore sono stato partecipe di un sogno che ho realizzato dopo tanti anni, ho corso la maratona di Boston, ho tagliato il colorato traguardo della Finish line della Boylston Street, ricevendo migliaia di applausi da un pubblico meraviglioso che mi ha sempre spinto a non mollare!
Grazie Boston per avermi fatto vivere questa meravigliosa avventura, grazie a tutti coloro che hanno reso quest’atmosfera così magica, per avermi fatto capire i valori così umani di questa città di cui tanto avevo sentito parlare,
grazie per questa indimenticabile Maratona che dedico in particolar modo al piccolo Martin che da lassù credo che neanche stavolta abbia rinunciato a seguire ognuno di noi fino all’arrivo!