Ragione o Passione? di Claudio Ubaldini, 25/03/2015
stanchi e felici dopo una bellissima maratona “Claudio stamattina ti vedo strano, tutto ok?”, “Veramente no, ho dormito male, ho fatto un incubo: vincevo la maratona di Roma…”. Tiziana mi guarda strano, cerca di capire, poi ci rinuncia e domanda diretta: “da quando in qua vincere una maratona è un incubo???”.
A due giorni dalla gara il mio approccio alla Maratona di Roma era esattamente questo. Non la volevo fare, non l’avevo preparata, già sapevo quanto avrei sofferto; e i sampietrini, e la pioggia, e le tante curve, e il raffreddore, e l’eclissi di sole che porta presagi nefasti, e… la lista delle scuse per non partecipare era ampia e colorita questa volta. Ma la “distanza” per eccellenza, il fascino di correre nella storia, una bellissima medaglia e soprattutto quel gusto per le sfide impossibili che spesso mi accompagna hanno preso il sopravvento, portandomi sotto al Colosseo in un’uggiosa alba di fine marzo. C’erano tantissimi amici in Orange con cui condividere questa gara, tanti esordienti sulla distanza, e un primo posto di squadra da andare a difendere, che sarebbe stato anche un bellissimo regalo di compleanno per il nostro Pres: emozioni che solo “se ci sei dentro” riesci a comprendere ed apprezzare in pieno. E non avevo assolutamente voglia di perderle. Mi ritrovo così alla partenza della XXI Maratona di Roma, 42,195km di sampietrini e storia, bombardato dalla mia parte razionale che mi strilla di scappare fintanto che sono ancora in tempo, e il cuore che sussurra tutte le emozioni che mi sarei perso. Inutile specificare chi dei due ha vinto.
Si parte! Ho in testa un solo obiettivo: arrivare intorno al km 30, una volta giunto a quel punto la strada verso il traguardo sarebbe diventata una mera formalità, a prescindere dal tempo impiegato. Le scuse “non la volevo fare” e “non l’avevo preparata” ormai sembravano vinte; ma la pioggia, le pozzanghere, l’acqua nelle scarpe, l’inaspettato freddo ed un esagerato affollamento di runners che impedivano di tenere il mio passo mi hanno fatto valutare l’idea di abbandonare la gara diverse volte. Fortunatamente lungo il percorso ho trovato amici e sconosciuti che hanno incitato più delle edizioni precedenti, e allora pur di finirla ho risfoderato la più disperata delle mie tattiche: la “maratona a tappe” ovvero mentalmente non avrei corso una “difficilissima maratona”, bensì “8 banali ripetute da 5km” con intervallo di circa 1 minuto al passo, cadenzati – nemmeno a dirlo – dai punti ristoro dove poter spiluccare qualcosa di dolce come “premio”. Avete presente l’immagine del mulo che procede all’infinito inseguendo una carota appesa davanti al proprio naso? Pare che funzioni…
Correre ad un ritmo tranquillo ti permette di scambiare qualche parola con gli altri maratoneti ed osservarne i comportamenti: così nella prima parte di gara mi sono gustato lo stupore degli atleti stranieri che per la prima volta correvano dentro Roma e rimanevano letteralmente a bocca aperta ammirando Circo Massimo, San Paolo, Testaccio, il lungotevere… emozioni così belle che mi han fatto brevemente fermare all’angolo di via della Conciliazione, per guardare i volti in corsa di chi curvando a destra si trovava improvvisamente di fronte alla maestà del “Cupolone” di San Pietro.
Dopo metà gara quando la fatica c’è ma è sopportabile, e le sorprese te le gioca più la testa, incontro due Angeli; due custodi che hanno rinunciato alla prestazione personale per illuminare la strada a chi ne aveva davvero bisogno, onorando in silenzio e forse più di tutti il nome di “Podistica Solidarietà” che noi Orange abbiamo stampato con orgoglio sulle nostre maglie. Il solo correre al fianco di queste persone in un millesimo di secondo ti demolisce il concetto di “non ce la posso fare” e ti da nuovo ed inaspettato vigore.
Proseguo nella mia personalissima gara contro le mie gambe e contro la voglia di abbandonare, ormai siamo al fatidico km 30 e va tutto inaspettatamente bene! Non sarà la mia miglior maratona e questo lo sapevo dal primo passo, ma rispetto all’idea iniziale di non partire nemmeno, sono già a un buon punto; e lo spettro di una precedente maratona di Roma, dove ho praticamente camminato dal km 28 fino alla fine, quasi sparisce… la pioggia continua ma continuano anche gli incitamenti dei romani, dei tanti turisti, e dei compagni di squadra che incrocio ovunque; il tutto però solo fino a piazza di Spagna, poco dopo il km 40; lì succede quello che speravo che ormai non accadesse più: le gambe hanno detto “stop”, e non è che lo hanno sussurrato delicatamente: lo hanno strillato senza preavviso! Gamba sinistra bloccata e gara finita. Ovviamente a due km dall’arrivo non mollo, ma che peccato: scoprirò dopo che ci ho messo più di 22 minuti per fare gli ultimi 2 km… ma il dolore è forte e ancora ora che sto scrivendo non mi abbandona. Un dolore accentuato dall’unico episodio negativo della giornata: mentre mi accosto al percorso per tentare di fare stretching e provare a far ripartire la gamba, si avvicina una distinta signora e mi domanda “ma non avete altro da fare oggi?”. Inizialmente immagino sia un (pessimo) tentativo per confortare un atleta dolorante e con le lacrime agli occhi; e invece lei infierisce, è infastidita dal fatto che per attraversare la strada deve fare qualche passo in più, che occupiamo le vie del centro dove lei abita, e non so cosa altro mi strilla, il dolore alla gamba in quel momento è così forte che non riesco a sentire altro. Peccato, in un tripudio di cittadini e turisti gioiosi, colorati e felici di incoraggiarci, lei stona davvero. Le avrei potuto spiegare i benefici, non solo economici, che trae una città dalla presenza di atleti e turisti stranieri, le avrei potuto elencare nello specifico le azioni di solidarietà che ci sono dietro alla partecipazione della nostra squadra a manifestazioni sportive come questa, le avrei potuto dire mille cose; ma forse chi inveisce contro una persona in difficoltà, è predisposto a tutto tranne che ad ascoltare e rivedere le proprie posizioni. Riparto in silenzio trascinando una gamba, mi fermo per qualche minuto all’ultimo ristoro, e solo nell’ultimo km riesco ad accennare un blando ritmo di corsa.
Km 41, “dai che è quasi fatta”, vengo superato da una marea di Orange che mi incitano, ora è discesa e anche se fa più male non si può non correre, e il tifo aumenta e mi fermo qualche secondo solo per salutare le nostre Ladies a bordo gara e poi piazza Venezia, traguardo, 4h17’40” ce l’ho fatta… Ce l’ho fatta!!! Solo dopo il traguardo ammetto che non era scontato come avevo voluto farmi credere, correre una maratona senza preparazione rimane un azzardo, ma volevo ricordare a me stesso che la mia caparbietà (leggasi cocciutaggine) è ancora in grado di portarmi lontano.
La gamba fa male, fa tanto male, lo sapevo che avrei sofferto lungo le strade della città eterna e soprattutto dopo, e mi ripeto, sapendo di mentire, che questa è la mia ultima maratona e non correrò mai più certe distanze tra sampietrini, pioggia e dolori; poi guardo la mia medaglia e una volta tanto cuore e testa all’unisono mi dicono “hai fatto bene Claudio, ne avevi davvero bisogno”.
Roma ti odio. Roma ti corro. Roma ti amo.
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Claudio Ubaldini
la meritatissima medaglia Gara: Maratona di Roma (22/03/2015) SCHEDA GARA |