Correre è come non morire mai… di David Kevorkian, 29/11/2016
Le strade le conosco a memoria. E non solo perché è la mia quinta volta a Firenze. Le viuzze, le curve, gli angoli nascosti, le vetrine, gli odori (si, anche quelli…) sono impressi nella mia mente.
È cambiata la partenza, è cambiato in parte il percorso, ma la mia città è sempre la stessa: con le strade strette, le curve quasi a gomito, qualche sanpietrino, il freddo di novembre, il sole perso nel cielo blu che illumina piazza Duomo e prova a riscaldare il mio corpo e… la mia mente.
Per la prima volta mi trovo in griglia e non ricordo nemmeno come ci sono arrivato: sarà l’età ed il numero di gare fatte, sarà la situazione, sarà quel che sarà ma mi ritrovo stretto accanto a sconosciuti che per un giorno, per un istante almeno, quello prima dello start, diventano i miei alleati. Firenze va conquistata, un’altra volta.
Ognuno di noi si porta dietro il suo obiettivo, le proprie motivazioni, i sogni, un tempo, una scommessa da vincere, il traguardo da tagliare.
Per la prima volta, non ho paura di restare inchiodato in griglia e tutte le “paure” delle strettoie in partenza spariscono nel momento del passaggio sotto il fatidico arco. Ho un obiettivo, ovvio: tutte le gare ne hanno uno. Ma non ci penso, è totalmente irrilevante al momento.
La preparazione del giorno precedente era stata un indizio a questa leggerezza che mi porto dietro: non avevo con me i manicotti, né la mia fascia scaldacollo, né i guanti. Nulla di tutto quello che di solito fa parte del rituale pre gara. Il mio abbigliamento è… variopinto ed anche un po’ vintage! Ho le scarpe, quelle si. Meno male.
Per la prima volta mi trovo a seguire naturalmente e senza “ossessioni” la linea verde tracciata per terra. Quella che guida al traguardo dopo soli 42197 metri. Quella che indica il percorso netto. E la linea verde mi accompagnerà inaspettatamente fino all'ultimo metro, è la mia compagna. Silenziosa e costante nel suo essere sempre lì. Fino alla fine.
Per la prima volta il gps è soltanto un peso. Non riesco proprio a guardarlo: non mi interessa il passo, non mi interessa il battito… è soltanto un peso al polso ma va bene così. Firenze me la voglio godere, vivere e respirare.
I viali, le voci di Benedetta e Maddalena che incitano, le Cascine e poi via indietro, nel centro. Oltrarno. I luoghi della giovinezza, i locali sempre lì, magari con le serrande abbassate, ma sornioni, quasi a dire “ehi, ti ricordi quella volta che siete venuti qui?”. Si che mi ricordo ma non mi posso fermare adesso. Non mi voglio fermare. I lungarni con tutti quei posti quasi “da fighetti”, comunque con vista sull'Arno stesso. Anche loro sembra che ammicchino “Toh… guarda chi c’è!”. E Santa Croce che arriva poco dopo il passaggio della mezza… Dante che mi guarda, o forse sono io che guardo lui, ci sta, è più probabile. Le panchine, i bar “degli americani” ed il ricordo delle serate passate lì fuori ad ascoltare musica al freddo. Ma io vado avanti, aspetto altro.
L’obiettivo lentamente si materializza nella mia mente. Via della Colonna e quei maledetti scalini che portano dentro il nostro Liceo. Di solito è… intorno al 33esimo km. Lì ho deciso che mi fermo. Mi fermo per regalarti un pensiero, Daniel.
Quante volte, salivi gli scalini, ti giravi e mi urlavi:
“che fai? Entri?”
“no… dai… faccio sciopero”
“ok, io non so nulla né ti ho visto!”
“tranquillo, tanto la mamma s’arrabbia solo con me”.
Ecco… lì ho deciso di fermarmi. Non ho altri obiettivi se non quello di godermi il tuo ricordo dentro la nostra città. Io e soltanto io, nessuno intorno a me, nessuno con me. Io e la mia linea verde. E la mia gara finirà lì.
Per la prima volta, Via della Colonna non arriva. Il percorso è cambiato! E mica avevo controllato. Mi rendo conto che non potrò fermarmi dove avrei voluto. E me ne rendo conto soltanto al 41esimo… quando manca troppo poco per pensare di passare anche di lì. Mannaggia. “Mi avete imbrogliato”, penso. Poi rieccole, Benedetta e Maddalena in piazza Signoria. Le guardo, “sono morto”. “Venvia… ma icchè ttu dici… sei arrivato… vaiiii”.
Per la prima volta da quando io corro, l’arrivo è in piazza Duomo. L’ultima curva, il tappeto blu, l’arco, il cronometro. Finita. Qualche saluto, qualche abbraccio, qualche chiacchiera, recupero la bicicletta per tornare a casa.
Per la prima volta dopo una maratona, torno a casa in bicicletta. Salgo sulla mia scassatissima Graziella e… sbaglio strada.
Passo da Via della Colonna, deserta, silenziosa, signorile, quasi nobile. Ho la medaglia al collo, non pensavo di finire la gara ed invece… sono arrivato al traguardo.
Ho la tua medaglia al collo, salgo quei tre gradini e mi giro a guardare. Il sole è ormai alto in cielo, scalda il corpo e scalda l’anima. Chudo gli occhi e sorrido. Perché correre è come non morire mai…
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David Kevorkian Gara: Maratona di Firenze (27/11/2016) SCHEDA GARA |