Per molti è pura eresia considerare "corsa" una competizione che superando la classica distanza della maratona, va ben oltre l'immaginazione considerando l'atletica come sport a discipline standard.
Ogni volta che si decide un obiettivo, questo nasce sempre da stimoli interiori comunque supportati da una sana ambizione.
Come in una storia d'amore il tutto inizia dalla passione e che siano dieci, ventuno, quarantadue o sessantasei chilometri si comincia come un'avventura, e si raccolgono gli istanti più intensi soprattutto per le sensazioni e le emozioni che ci offre l'esperienza del viaggio.
Ebbene si, 66 km immersi lungo la dorsale dei monti Berici non è una semplice corsa, ma un viaggio!
Per essere un po scaramantico sono rimasto colpito dal numero di pettorale che mi era stato assegnato alla Roma - Ostia un
"666" il numero del diavolo, ma per esorcizzare brutti pensieri lo ho collegato immediatamente alla
Ultrabericus. Anche se il nome è inquietante, ricorda alcune formule che suonano come riti propiziatori strani, ero convinto che avrei disputato la settimana successiva con questa distanza incisa nella mente, cioè con numero di chilometri pari a doppio sei.
La partenza è da piazza dei Signori a
Vicenza, la città dell'architetto del XVI secolo, Andrea Palladio l'ideatore della Rotonda, la villa da cui gli americani, si dice, abbiano copiato la forma e lo stile della Casa Bianca e la basilica palladiana che non è una chiesa. Il gonfiabile è posto sotto le colonne con il leone di San Marco nella grande piazza dove svetta l'altissimo campanile sulle cui pareti si nota ancora il segno del livello dell'acqua per l'alluvione del 1966 per lo straripamento del Bacchiglione.
Negli anni pari la gara si svolge in senso orario e l'arrivo è predisposto nello stesso punto della partenza. Dopo appena 15 giorni di apertura alle iscrizioni queste già erano sold out. Una gara molto sentita nel nord Italia con 1000 iscritti come singoli partecipanti anche con presenze dall'estero, 229 coppie (twin 34/32) a staffetta.
Arrivo la mattina relativamente presto, in bicicletta, mio fratello abita a qualche chilometro dal centro ma ha una attività commerciale proprio a 20 metri dal nastro della partenza ed inizio a scorgere i primi trail runners già di tutto punto organizzati.
Molti sembravano attrezzati per andare in guerra, con borracce, camel bag dalla portata di damigiane, cinturoni, zaini da far invidia ad alpinisti che vanno sull'Everest. Da subito mi pongo un quesito, chissà se sono io che ho sottovalutato il materiale necessario per compiere questo viaggio oppure qualcuno deve mostrare tutto il campionario di attrezzature tecniche e non di cui è dotato?
Arriva Riccardo Pruneri, un caro amico di Vicenza che corre questa gara per la terza volta, e mi rincuora il fatto che, come me, porta al seguito giusto il materiale obbligatorio. Eseguiamo le operazioni di punzonatura ed entriamo in griglia, in mezzo ad una grossa confusione, con lo speaker che alimenta l'euforia di tutti partecipanti.
Sono le 10 in punto ed arriva lo start, sembra la partenza di una 10 km e da subito capisco che è bene tenere a freno la voglia di andar veloce. Come in amore la passione all'inizio rischia di farci bruciare le tappe, portandoci comunque emozioni indescrivibili, ma è necessario un intervento drastico che consenta di dosare le energie di cui, all'inizio, se ne hanno da vendere. Subito considero un principio che Fulvio, il mio allenatore, ci ha tenuto a precisare:
"Il primo obiettivo nella corsa è arrivare al traguardo".
Nella confusione perdo di vista il mio amico ma non il percorso che, lasciato il centro cittadino, si inerpica da subito sul
Monte Berico, inoltrandosi nei boschi con un balisaggio perfetto. Qui vengo superato da moltissimi che, in preda alla forte carica, si lanciano in sorpassi pericolosi specialmente in discesa, lascio strada e cedo il passo per non essere travolto ed arrivo al primo ristoro all'11° km con ogni ben di Dio.
Riparto e mano a mano che avanzo si creano dei gruppetti che in quella circostanza pare abbiano lo stesso passo. Continuo a risparmiare le mie forze passando per il
lago di Fimon, con saliscendi continui che non permettevano di tenere un passo costante e congeniale.
Monte Torrette, monte Cengia, monte Alto per nominare solo quelli che ricordo, dove in realtà, l'altitudine massima arrivava a 700 m slm. rimanendo per lunghi tratti da solo fino al ristoro del 22° km.
Purtroppo come in ogni storia d'amore non tarda ad arrivare la crisi, infatti giunto sulla salita che porta all'
eremo di San Donato si inizia a far sentire la giornata, primaverile calda, che ospita nel cielo le prime rondini della stagione ed anche le gocce di sudore sulla fronte. Trovo conforto prima in una gelatina alla frutta e poi in una merendina e soprattutto mi ripeto mentalmente che i km sono ancora tanti e quindi c'è poco da batter la fiacca!
Arrivato all'eremo, il giro di boa, inizia un percorso impegnativo, dove la difficoltà sta nel rimanere concentrato perché, quando sei stanco, potresti avere poca lucidità nel vedere dove come e quando appoggiare i piedi anche su piccoli spuntoni di roccia. Si possono lasciar scorrere poco le gambe anche in discesa perché il sentiero è asciutto ma insidioso, pieno di rocce, sassi ed il fondo con ghiaia e pietrisco. Improvvisamente si costeggia una parete rocciosa dove alcuni ragazzi si esercitano a fare alpinismo e free climbing. Poi prati verdi ed alpeggi dove la natura è fiorita e colorata in questo quadretto dove in una radura, accanto ad una casetta di legno scorgo alcuni ragazzi che con due chitarre intonano
"Take me home" di John Denver.
Arrivato al 42° km leggo il garmin che mi indica circa 5 ore e soprattutto 1700 m di dislivello positivo percorsi in gara. Mi avvicino ad una sorgente e mi rinfresco e questo mi da sollievo fino al seguente ristoro dei 44 km. Qui mi sconforto nel vedere qualche persona in seria difficoltà, ma nel rifocillarmi prendo per le redini i pensieri negativi pensando che in fondo
il mio cuore ha le gambe proprio come l'icona della Podistica Solidarietà. Così mi immedesimo nel cuoricino sorridente dove se c'è la bocca e gli occhi avrà anche un cervello per dosare le restanti energie. Giungendo al ristoro del 55° km mi rendo conto che quel cuore non può arrendersi, voglio passare sotto il traguardo con la luce del giorno e purtroppo sono già le 17:30.
Al 60° km ancora immerso nei boschi con il sole che cala all'orizzonte e tra gli alberi, non bisogna correre rischi perché le gambe affaticate possono cedere e dunque è necessario prestare ancor più attenzione e cercare appoggi solidi. Raggiungo un ragazzo in piena crisi mistica che in stretto dialetto veneto mi domanda:
"G' hai un po de agua?" Ed io porgendogli la mia borraccia lo rincuoro con tono ironico e campanilistico:
"A Roma ed ai romani l'acqua non manca mai!!". Proseguo per gli ultimi faticosi chilometri verso la salita di monte Berico, il sole è sceso ma si sente già l'atmosfera della città che fa gioire il cuoricino con le gambe. Affronto i pesanti e lunghi scalini che portano verso il centro e si apre il sipario del traguardo, in un bagno di folla che mi riempe di entusiasmo. Obiettivo raggiunto in meno di 9 ore, 4438 calorie consumate, circa 6 litri di acqua (
6 ancora ricorrente) e tanta gioia. Degli iscritti quest'anno l'organizzazione ha collezionato più di 200 ritirati e 121 coppie non giunte al traguardo, d'altra parte visto il percorso sulla mappa e l'altimetria non sembra ci siano strappi in salita impegnativi, anche con pendii dolci il dislivello totale raggiunge i 2500 metri.
Il
"cuore con le gambe" è l'idea di ciò che sente chi pratica la corsa e prendendo spunto da una citazione famosa
"la grandezza non è nella forza ma nel cuore" ed a quest'ultimo mi sono affidato per vincere la fatica.
Infatti nei momenti di difficoltà e anche nel gestire ogni tipo di crisi, rovesciamo la citazione e di sicuro
"la forza la troviamo nel cuore". In fondo il battito cardiaco è un impulso involontario, ma con impegno si può regolare il suo battito assecondando le emozioni che ci offre.
Alè podistica!