Un'avventura nella Capitale di Raffaele Mele, 08/10/2011
Roma, 2 Ottobre 2011, ore 8:00.
Il cielo è terso, tanto che i palazzi sembrano disegnati su di uno sfondo dipinto; l’aria è frizzante, ma le previsioni dicono che la temperatura dovrebbe raggiungere i 30° verso le 12:00. Sono in scooter sul Lungotevere e lo sguardo curioso cerca di scorgere qualche artificio umano che possa essere classificato fra le possibili prove della gara di oggi, senza riuscirvi. L’attesa, che mi ha fatto iscrivere d’istinto a questa avventura con più di un mese di anticipo, quella stessa attesa che non mi ha fatto quasi dormire stanotte, cresce trepidante.
Ponte Milvio è già affollata di partecipanti, alcuni con magliette mimetiche e camouflage militare, altri con capelli e penne da indiano: tutti pronti per quella che l’opuscolo pubblicitario definisce “Extreme Marathon”, descrivendola come “18 chilometri di adrenalina pura su un percorso cittadino ma comunque impervio ai lati del fiume Tevere con acqua, fango, piccole giungle e prove di sopravvivenza urbane da superare”. Parallelamente si svolge anche la competizione per squadre miste di tre elementi: la “Survivor Team”.
Ore 9:20, ci siamo quasi. Lo speaker, dopo aver dato alcuni consigli di rito, ci richiama tutti nei pressi dell’arco di partenza/arrivo, in quanto il ponte sta per essere “chiuso” per l’approntamento delle prime prove da superare. Ci affolliamo sotto l’arco, come nelle “corse normali” e questo mi fa ripensare al mio tempo-gara stimato, proprio come in tutte le gare… Ancora qualche minuto ed avrei capito l’errore!
Il count-down…ed eccolo: lo sparo! Partiamo su Ponte Milvio: un muro di cartoni innanzi a noi. Vedo i primi che li abbattono e passandoci sopra scoppio dei palloncini pieni di acqua; un metro dopo iniziano i fumogeni, il respiro saggia il loro sapore lungo il ponte, alla fine del quale incontro degli ostacoli fatti con balle di fieno e poi un muretto da scavalcare per entrare “finalmente” sullo sterrato lungo il Tevere (lato Est). Guardo il Garmin al mio polso, ancora pulito: 300 metri circa ed il fiatone è già forte.
A questo punto, superata una piccola barriera di fuoco (!!!), inizia un trail nella “Petit Jungle” (come da opuscolo) per giungere, dopo un primo imbuto dato da ostacoli che si possono superare solo da una persona per volta, al Ponte della Musica, dove delle corde rendono impervio l’intero ponte.
Vedo Giancarlo Amatori con la sua bici che mi saluta: mi farà da fotografo, ma soprattutto da Angelo Custode per gran parte del percorso, anche quando non me ne accorgo. Si passa sull’altro argine del Tevere, sull’asfalto, ma solo per pochi metri: ecco un’altra fila umana in attesa di scendere sulla riva del Tevere tramite una corda. Una volta scesi è di nuovo terra e polvere, ma non solo: dopo poco inizia un breve tratto di fango, creato da un simpatico signore dello staff che ci spara amichevolmente con l’idrante; a seguire una piscina artificiale di acqua dove i piedi affondano e le scarpe ne escono pesanti.
Si entra in un recinto: passo del leopardo (vedi foto), ostacoli da superare…la “corsa” scivola così per circa 4 km. Poi ciclabile, finchè delle scale non mi portano di nuovo al livello della strada: sono di fronte alla Cassazione, il cosiddetto “Palazzaccio”. Un viale con “muri del pianto” fatti di travi metalliche o di corde portano all’interno di Castel S. Angelo: perdo il pettorale, dopo un po’ di indecisione proseguo, convinto che l’importante è finire, anche solo per soddisfazione personale.
Un tunnel artificiale, poi una galleria, poi il giro del Castello ed “infine” un salto su un materasso da circa 4 metri. Poi si sale e si scavalca la recinzione per tornare sul lungotevere. Il caldo rende insopportabile il senso di arsura e di sete, le gambe sono stremate dagli strappi in salita su sterrato e le braccia doloranti per le prove superate: vedo due allievi dell’Accademia in uniforme storica e lì, al grido “Una Acies” (una sola schiera) si voltano ed ho la carica per riprendere la corsa.
Si ritorna lungo il Tevere sull’argine Ovest, dove, col sole in faccia, ho modo di guardare il GPS: circa 6.5 km fatti in 37’…appena un terzo ed un senso di fatica incredibile.
Fortunatamente, dopo poco, vedo un piccolo ponte tibetano lungo circa 5 metri, superato il quale ricevo una bottiglietta d’acqua: bevo e mi bagno la testa, poi non la butto ma la conservo gelosamente. Continuo a sorseggiare ogni tanto e corro lungo una ciclabile, forse (la fatica appanna i ricordi) è in quel tratto che incontro Tannoia e Kevorkian che mi incitano: chissà se il mio aspetto tradisce la stanchezza e la sofferenza interiore. Continuo per un altro chilometro poi una nuova serie di “muri del pianto” artificiali mi costringono a buttare la bottiglietta d’acqua per usare le mani. Dopo un labirinto artificiale, mentre io risalgo sul Lungotevere ed attraverso il Ponte Palatino, incontro i primi, che già sono a metà gara; scendo delle scale ed arrivo sul ponte Tibetano che permette di giungere sull’Isola Tiberina.
Inizio a percorrerlo. Dopo pochi metri la scarpa si incastra sulle corde del ponte: si sfila e rimane là. La osservo e la immagino cadere nelle acque del “biondo Tevere”: con calma e senza bruschi movimenti la recupero, mi siedo sulle corde e la infilo di nuovo. Con fatica arrivo sull’Isola Tiberina, vi giro intorno e ne esco: sono tornato sull’argine Ovest. 9,5 km fatti in 58:00…
Ho superato il giro di boa. A questo punto la gara si svolge a ritroso, si riscende lungo la ciclabile: labirinto artificiale e serie di muri del pianto, poi riprendo a correre… incontro nuovamente i due podisti solidali che mi incitano. A questo punto rimangono da superare gli ostacoli dei primi tre km ed è fatta. Attraverso il Ponte della Musica e mi rituffo nel canneto… alla fine di questo, vedo Ponte Milvio, risalgo l’argine e salto il muretto: sono sull’asfalto del ponte, tra le balle di fieno. I miei occhi scorrono rapidamente sui lucchetti chiusi a suggellare questa magnifica avventura, mentre supero i residui di cartone in terra.
Qualcuno mi chiede il numero del pettorale, dalla gola urlo con tutte le forze, mentre taglio il traguardo più sudato ed ambito finora.
E’ finita: il cronometro si ferma ad un’ora e 40’ e scopro di essere arrivato 30°.
In quel preciso istante, chino, con le mani sulle ginocchia ed il fiatone che quasi nasconde la voce dello speaker, realizzo che la mia soddisfazione veniva contrastata dal dispiacere di dover attendere forse un altro anno per poter rivivere delle emozioni così forti.
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Raffaele Mele Gara: Roma No Limits (02/10/2011) SCHEDA GARA |