Boston: cronaca di una maratona bollente ma indimenticabile di Valerio Mosca, 26/04/2012
A distanza di alcuni giorni dalla Maratona di Boston, e in attesa all’aeroporto per tornare a Roma, non posso davvero non condividere con tutta la Podistica le incredibili emozioni che mi ha regalato questa gara. Tra l’altro avevo portato con me in corsa la macchina fotografica, quindi ho caricato sul sito un discreto reportage fotografico.
Nei mesi scorsi avevo scelto di correre a Boston soprattutto perché rappresenta la storia della maratona (saprete che è la più antica dell’era moderna, essendo alla 116a edizione) e perché mi sembrava quella più particolare e diversa rispetto alle altre major.
Arrivo dunque a Boston sabato pomeriggio, con un paio di giorni di anticipo (la gara è lunedì, Patriots’ Day) per recuperare il fuso e fare un po’ di giri di ordinanza in città (che vi risparmio, comunque Boston è molto carina e gradevole, diversa rispetto a molte altre città statunitensi solo grattacieli) e già per le strade si respirava l’atmosfera giusta di una maratona.
Avevo visto su internet che durante la maratona avrebbe fatto piuttosto caldo, ma il giorno prima della gara salta fuori un simpatico “heat advisory” degli organizzatori che parla di temperature bollenti e che sconsiglia di correre se non in perfetta forma, ricordando che “if you choose to run, run safely above all else. Speed can kill”.
Con questo velato avvertimento ci si avvia quindi alla partenza. Che in realtà è molto fuori Boston, in un posto quasi dimenticato da Dio chiamato Hopkinton. E per il trasporto da Boston alla partenza mi accorgo di quale “macchina da guerra” sia l’organizzazione della Maratona di Boston (e penso delle altre major),
visto che per lo spostamento dei circa 30mila maratoneti c‘era un flusso ininterrotto di bus scolastici gialli (penso siano stati raccattati da tutta l’East Coast) nel quale ogni atleta aveva un comodo posto a sedere (oddio, in realtà era ovviamente taglia bambino…).
Anche nell’area partenza tutto era organizzato alla perfezione, con ampi spazi per i preparativi e intere “città” di bagni chimici nei quali, incredibilmente, non c’erano file chilometriche.
Alle 8.30, due ore prima della partenza, il sole comunque già picchiava pesante, anche più di quello che pensassi, e tutti si rendevano conto che sarebbe stata una gara da “se si arriva è già tanto”.
Comunque alla partenza si respirava un’aria piacevole e festosa, forse proprio per il fatto che tutti sapevano di doversela prendere con la massima tranquillità. Per gli amanti delle statistiche, intorno a me notavo la stragrande maggioranza di americani, pochi italiani e moltissime ragazze/donne (che alla fine risulteranno oltre il 40% degli arrivati!).
E quindi si parte, in 3 diverse onde. I primi 10-15 km pensavo fossero più o meno in discesa (anche l’altimetria sembrava confermarlo) ma in realtà è una serie continua di salitelle e discese che, seppur dolci, comunque si facevano sentire sulle gambe.
Tutta la gara resterà caratterizzata da questo sali e scendi, rendendola decisamente più dura di quello che avessi previsto.
Il percorso si snoda quasi interamente (fino agli ultimi km, dentro Boston) tra i boschi del Massachussetts, passando all’interno di una serie di paesi (Ashland, Framington, Natic, Wellesley) che sembrano davvero usciti direttamente da un film ambientati nella provincia americana.
La cosa che più mi ha colpito è stata la straordinaria partecipazione della gente, che ad ogni singolo metro ti dava la spinta e tra questa folla si vedeva di tutto: famiglie spaparanzate sulle sedie ai bordi delle strade bevendo birra, gente che preparava il
barbecue, giovani che ti incitavano come se fossi il loro beniamino dell’NBA o della NFL, persone travestite da cose improbabili, poliziotti e marines che ti salutavano, feste in giardino ragazzotti palestratissimi e ragazze “leggermente” discinte.
Ma soprattutto la gente è stata fondamentale per combattere il caldo, che è arrivato ben presto intorno ai 30 gradi. Gli spettatori infatti, dalle loro case, letteralmente innaffiavano tutti i maratoneti con pompe e tubi dell’acqua, che ti consentivano di restare quasi sempre bagnato, addirittura erano state aperte alcune colonnine dei vigili del fuoco per dare sollievo agli atleti con cascate di acqua!
Inoltre anche in questo l’organizzazione è stata perfetta, visto che aveva preparato rifornimenti con Gatorade e acqua ad ogni miglio. Tutto questo ha insomma consentito di combattere il sole a picco sul cielo e le fiamme che salivano dall’asfalto, e vi assicuro che non sto esagerando: tanto il caldo è stato infernale, quanto l’organizzazione (e gli spettatori) perfetta nel fronteggiarlo.
Intorno alla mezza maratona ero proprio curioso di vedere se fosse vera la “leggenda” delle ragazze del Wellesley College che – secondo quanto si narra – si lanciano sui maratoneti per baciarli ed abbracciarli.
In genere queste storie (non solo a livello podistico) sono davvero racconti fantasiosi ma invece in questo caso …. già 300 metri prima del College si sentiva un urlo collettivo assatanato e, una volta arrivati davanti al college, se ne vedono di tutti i colori; vi invito a guardare le foto che ho fatto perché sono proprio esilaranti! Tutto quel tratto me lo sono fatto davvero ridendo a crepapelle :-)
Più avanti si passerà anche davanti al Boston College e anche là l’urlo degli studenti, che si sente da alcune centinaia di metri, ti incita incredibilmente, con tanto di cori personalizzati a tutti coloro che hanno segnato il loro nome da qualche parte!
Tra il 17° ed il 20° miglio c’è poi una successione di tre colli ben più impegnativi rispetto alle “leggere” salite che si sono susseguite per tutto il percorso. L’ultimo è la leggendaria Heartbreak Hill che però, onestamente, dai racconti che avevo sentito me l’aspettavo un muro verticale e invece è al livello delle altre (comunque impegnativa, eh!).
La “palma” di tratto più infame la assegno invece ad un passaggio della periferia di Boston, già intorno al 40° km, in cui arrivano in sequenza un cavalcavia e un sottopasso che letteralmente ti stroncano le gambe.
Ma ormai ci siamo, si supera il “1 mile to go” e si arriva sul rettilineo finale di Boylston Street con un qualcosa che assomiglia vagamente ad una progressione, tra due ali di folla e ormai con un fon caldo sparato contro i maratoneti! E all’arrivo la solita sensazione indescrivibile di quando si finisce una maratona, questa volta ancora più forte per tutte le emozioni che mi ha regalato questa gara.
Poi all’arrivo, scottato dal caldo e rosso come un peperone, con le gambe ormai inutilizzabili, non trovo meglio che sbagliare strada per tornare al bus delle borse e fare qualche altro centinaio di metri in più inutilmente…
Per quanto riguarda la mia gara, tra tutte quelle che ho corso è stata quella terminata – per ovvi motivi “solari” - col tempo più alto (4h15m22s), ma una di quelle che certamente ricorderò con maggior piacere.
Non è una frase retorica, ma davvero vi consiglio di correre almeno una volta la Maratona di Boston, sia per il bagaglio di storia che si porta dietro, sia per le emozioni che regala lungo un percorso molto diverso rispetto a quasi tutte le altre maratone.
Valerio
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Valerio Mosca Gara: Maratona di Boston (16/04/2012) SCHEDA GARA |