E finalmente arriva di Isabella Calidonna, 03/12/2018
2 dicembre 2018: avrebbe dovuto essere il giorno della mia seconda maratona a Valencia, della mia ultima maratona dell’anno. Quella dove, nei miei progetti, avrei fatto il PB. Invece mi trovo sul divano, dopo la mia seduta di stretching, a pensare ai miei amici che sono a Valencia. A pensare alla mia maratona di New York. Quando sei infortunata accade questo. Ti ritrovi con dei momenti vuoti, quelli che solitamente occupavi con gli allenamenti, a pensare. Solitamente sono più veloce a scrivere i miei resoconti, è una cosa che mi viene naturale. Sento e scrivo. Invece è quasi passato un mese dalla maratona dei miei sogni e non ho scritto ancora nulla. Una grande spinta mi è stata data dalla mia amica Chiara, facendomi leggere il resoconto della figlia di Orlando Pizzolato, in cui mi sono completamente rivista e immedesimata. Così, finalmente, dopo quasi trenta giorni vi racconto della mia NYM.
Era il mio desiderio da quando ho iniziato a correre e non lo avevo mai potuto fare per motivi economici. Dopo aver messo da parte euro su euro finalmente decido, quasi un anno prima, a partecipare e correre la MIA maratona di New York.
Ma come scriveva il buon John Lennon, “la vita è quella cosa che accade mentre siamo occupati in altri progetti”.
È stato un anno pieno di soddisfazioni sportive il 2018, ma intorno al mese di giugno (o forse anche prima) ho iniziato a sentire un fastidio alla spalla, che naturalmente ho sottovalutato (ps. Non fatelo mai. Ascoltatevi e ascoltate il vostro corpo).
Ho continuato a gareggiare con il dolore, chi mi conosce lo sa che pratico anche triathlon e alla fine del mese di agosto ho iniziato a sentire un fortissimo dolore, tanto da non riuscire più a nuotare. Ve la faccio breve. Tendinopatia sopraspinoso. Stop nuoto e bici, ma corsa no. Dovevo preparare la MIA maratona. Provvedo con della fisioterapia. Gareggio in gare che facevano parte del mio piano di allenamento, ma sento ugualmente dolore. Essendo però testona e sognando fortemente quella gara, parto lo stesso.
Gli ultimi accorgimenti e arriva il fatidico giorno della gara. Sveglia. Colazione. Autobus. Commozione quando vedo spuntare l’alba attraverso i ponti della Grande Mela. Villaggio a Staten Island. Amici. Risate. Concentrazione. Partenza.
L’inno prima della partenza è da brividi. L’organizzazione è perfetta. La partenza è perfetta e io mi sento bene, il braccio non mi fa male. Il ponte da Verrazzano è stupendo, passano i primi chilometri senza accorgermene. Si avvicina una ragazza, dice che ho un volto conosciuto, parliamo per un po' ma senza accorgermene la stacco. Ho modulato la mia velocità in partenza, rallentando intorno al terzo o quarto chilometro perché troppo veloce. Sembrava tutto perfetto, ma… al decimo chilometro inizio a sentire qualcosa. La spalla inizia a dare veramente fastidio. Cerco di evitare di muovere “troppo” il braccio destro, per non sentire dolore che continua ad aumentare, ma inizio a sballare tutta la meccanica della corsa. I chilometri passano, ma a me sembrano non passare mai perché il dolore si fa sempre più intenso. Alla spalla si aggiunge la gamba sinistra, ginocchio e piede in particolare.
Quello che mi ha aiutata sono state le persone. Non riesco a descrivere l’emozione provata nel sentire tutti gli incitamenti, il battimano fatto esclusivamente con la sinistra poiché il braccio destro era aderente al busto. Arriva la parte più difficile, quella finale, ma non ce la faccio più. Inizio a camminare. Sono al trentaseiesimo chilometro. Cammino e corro, cammino e corro. Ho la testa bassa per la delusione. Non sento nemmeno il freddo, ma le persone mi danno la forza. Incrocio lo sguardo di una ragazza che in inglese mi dice “forza riprendi”. Sto per entrare a Central Park. Rimbombano nelle orecchie quelle parole e lì mi si riaccende la “tigna”. Rialzo la testa e riprendo a correre. Le persone sono il mio antidolorifico. Urlano e incitano. GO!! GO!! RUN!! RUN!!
Corro e non sento dolore. Sorrido e mi emoziono, ancor di più quando faccio l’ultima curva prima di tagliare il traguardo perché vedo il grande schermo che mi mostra gli arrivi. Così inizio a correre più forte, quasi a volermi liberare da qualcosa fuggendolo. Taglio il traguardo e realizzo solo dopo aver guardato la medaglia al mio collo.
Ho finito la maratona dei miei sogni, ma non come avrei voluto. La delusione è stata ed è ancora tanta, ma la forza mi ha aiutata. Emil Zatopek diceva che “ai confini del dolore i veri uomini si distinguono dai ragazzini” beh, allora io sono un vero uomo.
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Isabella Calidonna Gara: Maratona di New York (04/11/2018) SCHEDA GARA |