2012 Odissea Sull'Appennino di Giuseppe Di Giorgio, 06/06/2012
Tenaci canotte, per chi non ne avesse ancora abbastanza dei miei poemi kilometrici sono qui a regalarvi qualche riga sull’ultima competizione a cui ho partecipato.
Si tratta dell’ultratrail del Malandrino, gara di 70 kilometri con dislivello di 4500 metri con partenza prevista alle ore 00.00 di sabato 2 giugno, per percorre i sentieri che da Prato portano all’Abetone.
Ma come al solito andiamo con ordine; questa corsa fa parte del mio piano per lo sviluppo delle mie capacità in gare di montagna oltre al fatto che per i trail di un certo livello è come per gli esami all’università, se non fai una certa gara non hai i requisiti per essere ammesso ad un’altra e così via, man mano che cresce la difficoltà e la distanza della gara.
Parteciparvi mi è apparso sicuramente un azzardo a causa delle sgambettate fatte nei due week end precedenti ma io di sale in zucca ne ho poco e quindi mi segno all’ultimo minuto sapendo che sono già iscritte tre colonne: Elio Dominici, Pietro Cirilli e Marco Perrone Capano, tutti esperti ed inossidabili.
Decidiamo di partire tutti insieme da Roma sabato mattina, arriviamo a Fiano dove, lasciata l’auto, saliamo su un bus che è stato organizzato per la trasferta; ci aspetta un bel viaggio fino a Prato, le facce sono più o meno sempre le stesse, una valanga di matti che non vede l’ora di affrontare l’ennesima prova: un bus zeppo di esperienze e kilometri ma forse con pochi neuroni!!!
Arriviamo a Prato, ritiriamo i pettorali dopo che ci hanno controllato il materiale obbligatorio (essenzialmente lo stesso dell’ultima gara che ho fatto, anche questa è in semiautosufficienza, i ristori sono solo 7, occorre avere acqua, cibo, giacca e pantaloni lunghi, e soprattutto le torce per la notte). Espletate le formalità approfittiamo del pasta-party anche per riprenderci un po’ dal viaggio, dopo di che ognuno comincia a prepararsi; viene fatto un briefing per illustrarci le caratteristiche della gara ma l’audio è pessimo e quindi non ascolto più di tanto, preferisco pensare un po’ a come sarà quello che sto per affrontare, di notte ho già corso ma non in montagna, sarà una cosa nuova.
Si avvicina l’ora della partenza, decido di indossare una maglia a manica lunga e pantaloni corti, non mi sembra faccia freddo, mi metto lo zaino, la lampada frontale in testa e sono pronto.
Viene dato il via, i concorrenti sono 220 circa, ancor più della volta scorsa non faccio grossi programmi, so benissimo che non ho recuperato completamente dalle ultime fatiche, la speranza è sempre almeno quella di arrivare tutto intero; il percorso riprende quello che era utilizzato anticamente dai contrabbandieri di sale e per questo ad ognuno è stato consegnato simbolicamente un sacchetto di sale appunto con l’obbligo di mostrarlo alla fine della gara come prova.
Tengo da subito un’andatura decisa ma tranquilla, facciamo un piccolo tratto di asfalto e subito arriviamo al primo sentiero che si presenta già difficile, stretto e ripido, come sempre per me (e per molti altri) camminare è d’obbligo, comunque il passo è buono; anche questa volta, a differenza della maggior parte dei partecipanti non uso bacchette, durante la gara scoprirò, vedendo gli altri, che in effetti in molti punti sono utili (anche perché si affaticano meno le gambe) ma io preferisco farne a meno lo stesso.
Il tempo massimo consentito è di 17 ore e ci sono vari cancelli intermedi; veniamo infatti dotati di un chip particolare che si porta al dito e che dovremo inserire ai vari passaggi per il controllo, pena la squalifica; ho dato uno sguardo all’altimetria e salvo un tratto in discesa per il resto si salirà e basta.
Fa più caldo del previsto, sarebbe bastata una maglia a manica corta ma scelgo di non cambiarmi pensando che magari più avanti farà fresco ma non sarà così; comunque il problema non è questo bensì un altro che ingenuamente non avevo assolutamente previsto: poco dopo esserci addentrati nei sentieri veniamo avvolti da una nebbia fittissima, in principio penso sia l’umidità sui miei occhiali ma togliendoli un attimo scopro che non è così, la visibilità è ridottissima ed io riesco a vedere a malapena ad un metro da me.
Questa condizione obbliga me, ed anche la maggior parte degli altri, a tenere un passo non veloce (infatti qui perderò un sacco di tempo) perché il percorso è segnalato ma basta un niente per non far caso ad un segnale e sbagliare strada con il rischio di rimanere a vagare nel bosco tutta la notte o tutta la vita, la lampada qui non aiuta molto, la nebbia è davvero una coltre spessissima.
Come sempre siamo tutti sparpagliati a tratti si formano piccoli gruppi altrimenti si corre da soli; l’atmosfera è veramente spettrale, sembra di correre verso il nulla, con i mille rumori della notte, passi, animali e chissà cos’altro; da una parte mi spiace perché mi perdo il paesaggio ma dall’altra mi sembra divertente, un’esperienza unica, da brivido.
Devo stare però davvero attento perché il terreno non è certo comodo, sassi e radici ovunque, pericolo di scivolare continuo dovuto al fogliame ed alle rocce bagnate, correre sta diventando sempre più un’utopia, la nebbia non accenna a diradarsi e le salite sono sempre più impegnative, non ho sonno ma la fatica sulle gambe è tanta, dove posso, per salire, o in discesa, per non cadere, uso anche le mani.
Supero il primo ristoro ed anche il secondo che è anche il primo cancello verso il kilometro 20, ho un certo vantaggio che mi dà confidenza di potercela fare; proseguo e dopo un po’ comincio a sentire una musica assordante, penso che ci sia un altro ristoro anche se in realtà non mi risulta; andando avanti scopro che si tratta di un rave party iniziato dal venerdì!, ci sono macchine ovunque e ragazzi sparsi qua e là che vagano, passo e praticamente nessuno fa caso a me e qui la domanda mi sorge spontanea “sono io il pazzo che sta qui a correre di notte con uno zaino in spalla o loro ad assordarsi ed ingurgitare chissà cosa?”, ognuno ha la sua verità.
Sento abbastanza la fatica sulle gambe dovuta alle salite e anche le piccole discese mi impegnano parecchio, mi faccio anche un paio di scivolate senza conseguenze sulle discese segnate come pericolose, da un lato penso che se arrivo lungo ad un cancello poco male, almeno esco di gara e mi riposo ma per fortuna è un pensiero che va subito via anche perché ci hanno detto che se si abbandona ci vorrebbe comunque parecchio prima di essere riportati alla base.
Ovviamente ai ristori faccio il pieno di coca-cola e mangio qualche biscotto, la notte scorre comunque veloce e tranquilla quasi non me ne accorgo, confido che l’alba, che comincia a manifestarsi verso le 5 e 30, porti la luce ma così non è; mi trovo ancora dentro una boscaglia fittissima dove non passa un filo di luce e comunque la nebbia sebbene ridotta è ancora presente; ho la fortuna di vedere un daino (o un capriolo, non vedevo bene) che zompetta qua e là, che spettacolo e che invidia! avessi io tale agilità qui.
Si è fatto giorno e continuo il mio viaggio, ogni tanto ci incrociamo con Marco, si salutiamo e ci riperdiamo; comincia la parte dura della gara, i primi 40 kilometri sono stati complicati e difficili ma ora la salita diventa qualcosa di apocalittico, vado lentissimo, ogni passo è un’impresa, ogni metro conquistato mi sfianca ma rimango costante e determinato; sto salendo verso una cresta e come al solito i segnali del sentiero del CAI non fanno presagire nulla di buono.
Ci metto un secolo ad arrivare in cima a circa 1800 metri di altitudine (ci metto un secolo anche solo ad alzare una gamba a volte) e qui trovo un’altra bella sorpresa che ci avevano comunque preannunciato; la cresta è tempestata da raffiche di vento veramente notevoli, il sentiero è tutto esposto e stretto, il vento mi sposta di continuo, c’è il rischio che voli di sotto e sinceramente non mi va, quindi anche qui limito la corsa perché un passo falso e mi ritroverei munito di arpa e con le ali.
In compenso lo spettacolo è meraviglioso, le valle e le vette intorno sono indescrivibili, mi piace pensare che almeno di posti incontaminati come questo ce ne saranno sempre da scoprire; giungo ad un altro ristoro e cancello orario dove apprendo una notizia sconfortante; qui sono al kilometro 58, ne mancano solo 12 e penso che quindi al peggio in altre due ore, due ore e mezza dovrei arrivare ma c’è un problema; la seconda vetta che dobbiamo affrontare è stata dichiarata troppo pericolosa per il vento che c’è oggi e quindi l’organizzazione ci devia su un percorso alternativo.
Il brutto è che tutto questo comporta che la gara viene allungata di 7 kilometri, che date le condizioni vogliono dire almeno altre 2 ore di gara in più!; ma sono in ballo e continuo, il nuovo tratto comprende anche una grande discesa in asfalto che però sfrutto poco, le gambe sono troppo imballate, faccio quello che posso, ogni tanto faccio dei tratti con altri atleti e ci confortiamo a vicenda.
A circa 10 km dalla fine ci ritroviamo con Marco, siamo tutti e due abbastanza stanchi, con poca voglia e soprattutto poca forza per correre; tacitamente decidiamo di proseguire insieme fino alla fine e date le circostanze faremo bene.
Infatti la discesa appena compiuta è stata troppo lunga secondo i miei calcoli, l’Abetone è in alto, a causa della variazione siamo scesi parecchio e questo vuol dire un sola cosa: dobbiamo di nuovo salire.
Siamo pronti a salire ma non ci aspettavamo quello che abbiamo trovato: finito l'asfalto di addentriamo di nuovo una boscaglia fitta e spaventosamente ripida, l'avanzata è quanto mai difficoltosa, la parole sono poche, ogni tanto ci fermiamo per riposarci, ci sembra sempre di stare per arrivare ma non si arriva mai; all’ultimo ristoro ci dicono che mancano circa 3 kilometri in leggera discesa ma secondo noi saranno di più alla fine (a conti fatti invece di 70 kilometri ne abbiamo fatti circa 80).
Arriviamo all’Abetone ed in vista dell’arco dell’arrivo come d’accordo iniziamo a correre e finiamo la gara insieme in volata, dopo 15 ore e 40 minuti di odissea, stanchi ma soddisfattissimi dato che nonostante i kilometri in più abbiamo ampiamente finito prima del limite.
Esibiamo il sacchetto di sale, ritiriamo il diploma, ci facciamo una doccia fredda (calda non c’è!) ed attendiamo l’arrivo di tutti i compagni per poi prendere la via del ritorno che avviene in nottata.
È stata una gara faticosissima e spettacolare, ognuno ha fatto del suo meglio e si è portato comunque un’esperienza in più a casa.
In due settimane ho fatto 3 gare per un totale di circa 340 kilometri, 11000 metri di dislivello e 57 ore e 40 minuti di corsa: ora come disse qualcuno “mi sento un po’ stanchino!”, ma passerà,
A presto!
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Giuseppe Di Giorgio Gara: Trail del Malandrino (03/06/2012) SCHEDA GARA |