Cos'è Korogocho? di Adriana Saragnese, 16/05/2008
La baraccopoli di Korogocho. Circa una settimana fa mi fu chiesto di scrivere un articolo su Korogocho, in quanto si era tenuto a Roma un concerto a cui si partecipava “pagando” l’ingresso con un antibiotico da utilizzare nella terapia contro la dissenteria, un dramma ancora frequente in alcune zone del mondo, dove le scadenti condizioni igienico sanitarie, consentono il diffondersi di malattie gastro intestinali anche gravi, specie tra i bambini.
Ho pensato però fosse giusto avere qualche notizia più dettagliata su Korogocho e dopo un’intensa ricerca il risultato è stato un profondo senso di rabbia e di vergogna per me e per chi come me vive sulla cresta della realtà ignorandone gli abissi.
Cos'è Korogocho? Per chi lo sa vale la pena ricordarlo, per chi non sa è civile informarsi.
Korogocho significa “confusione” in lingua kikuya; i kikuya sono un'etnia del Kenia. Ed è proprio la confusione quella che regna nella capitale del Kenia, Nairobi, dove Korogocho è una delle quattro baraccopoli, la più povera.
Qui, in una baracca fatta di lamiere e di carta, vivono due o tre famiglie e un lenzuolo steso a terra stabilisce il confine tra di esse. Le famiglie sono per lo più composte da donne e bambini.
Il reddito di ognuna si aggira sui 6100 scellini al mese (circa 70 euro). Il territorio che accoglie le baracche ha un'estensione di 1,5 km² e ospita 160.000 persone, e poiché il terreno appartiene sia allo stato che ad un privato, per ogni baracca si paga un affitto che può arrivare fino a 2000 scellini.
Non c'è né acqua né elettricità, per avere l’acqua bisogna comprarla a caro prezzo, mancano servizi igienici e l’aria è pervasa da un olezzo fetido generato dalle fogne a cielo aperto e dalla vicina discarica comunale, l’unica, in cui molti cercano cibo o rifiuti riutilizzabili, bande criminali permettendo, e che crea gravi problemi di salute.
Quella di Korogocho è una popolazione giovane, (il 70% ha meno di 30 anni), ma nella stessa percentuale non è sana poiché convive con malattie come Aids, tubercolosi, malaria, tifo, parassitosi. Le medicine costano troppo, per cui l’accesso alla morte diviene semplice, veloce, inevitabile.
La malattia è anche inasprita dal degrado sociale, l'alcolismo (qui si autoproduce e si vende il changaa, un distillato di canna e mais, a volte allungato con il cherosene) e ogni tipo di droga.
In un ambiente così fatiscente chi paga il prezzo più alto in termini di sopravvivenza sono i bambini. Molti di loro, i cosiddetti “STREET CHILDREN” per sfuggire ai morsi della fame, reggono barattoli di colla che sniffano tutto il giorno, fino a stordirsi e intossicarsi..
Ma una piccola luce Korogocho ce l’ha, è la comunità religiosa comboniana composta da due sacerdoti: padre Paolo Latorre e padre Daniele Moschetti, che continuano l’opera di padre Alex Zanotelli, insieme a due laici missionari.
Lavorano nelle due scuole pubbliche che ospitano 4000 bambini e garantiscono un’istruzione seria sui diritti umani, sul lavoro, sulla salute, accanto a suore che insegnano taglio e cucito alle ragazze strappandole alla strada.
E’ come prendere l’acqua del mare con un cucchiaino, ma è pur sempre meglio del nulla.
Purtroppo essendo cibo e acqua contaminati, i bambini in particolare sono più esposti a malattie come amebiasi e tifo, che si manifestano con disturbi gastrointestinali come la dissenteria (ossia perdita di feci liquide frammiste a sangue e muco), associata a febbre, deperimento organico e, nei casi più complicati, la morte. La cura prevede reidratazione con liquidi, riposo, antibiotici dove occorre (il metronidazolo, in particolare, conosciuto in commercio come Flagyl).
Perchè un concerto?
Perché la musica è il miglior veicolo di sentimenti, di emozioni. E’ il linguaggio che scarta più di ogni altro le differenze sociali, culturali, personali, assemblando in poco tempo tutte le diversità e riducendo, fino ad annullarle, tutte le distanze intra ed extrauniversali.
La musica è figlia dell’eternità, crea attraverso il gioco di sette sorelle armonie infinite, universali, trasforma qualsiasi rancore in un colore, lima anche l’odio più tagliente, è la TAV dell’anima e congiunge l’irraggiungibile. E’ l’abbraccio tra Dio e l’uomo.
E’ l’unica a sapere dell’uomo ciò che egli non sa di se stesso e nessuna fantasia o libertà le fa da argine.
Ottiene ciò che l’uomo vorrebbe da sempre, sfidare la morte e vincerla. Come in quest’occasione, in cui si prende cura in un solo istante di migliaia di bambini e li riconsegna ancora alla vita.
Le lacrime mi fanno da sottofondo mentre penso che tanti bambini non potranno mai sentire il profumo del latte o del pane fresco con la cioccolata, giocare sulla spiaggia, gustare un gelato o scambiarsi figurine, esprimere un desiderio di fronte alle stelle cadenti in una notte d’agosto, guardare i fuochi d’artificio dipingere il cielo, osservare dietro il finestrino della macchina la terra girare, sognare sotto una coperta calda.
Non ritireranno mai nessun pacco gara perché la loro vita è stata troppo breve per dargli tempo di avere un paio di scarpe, una maglietta e un sorriso.
Ma altri di loro ci riusciranno, a guarire, a crescere, a vivere, grazie alla talentuosa generosità di alcuni, che sanno rendere la loro arte oltre che speciale anche utile.
Questi bambini sono anche nostri bambini.
Un albero non chiede mai a chi si avvicina cosa faccia o da dove venga e dona la sua ombra e i suoi frutti allo stesso modo sia a colui che si stende vinto dalla pigrizia che al vagabondo sfinito dalla stanchezza.
Allo stesso modo ogni bambino possiede un padre e una madre in ogni parte del mondo.
Perchè non è il sangue che crea legami, ma l’amore.
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Adriana Saragnese |