Una domenica con lo "Sterminator Vesevo" di Ettore Golvelli, 28/05/2015
Sovente ripenso alla mia fanciullezza, soprattutto ai tanti pomeriggi passati sul tetto di casa mia a guardare le montagne vicine.
Laggiù, a Sud del mio amato paesello, nereggianti nell'ombra dei tramonti, spiccavano le inconfondibili vette del Monte Somma, inondate della luce degli ultimi raggi del sole che scendeva tramontando nel retrostante mare.
E mentre fantasticavo sulle superficie dell'invisibile mare, increspata dalla brezza marina e solcata da cento vele, mi si ergeva il nero cono del misterioso monte che, con il suo pennacchio fumigato e con i suoi profondi boati, chiamava, prometteva, ammoniva. E non sapevo mai se era un lusinghiero invito o una sfida minacciosa.
Era così che io pensavo al Vesuvio, questo grande totem per le tribù campane, questa divinità della creazione eterna, un occhio dormiente ma vigile sugli inferi del sottosuolo.
Una montagna che ha sempre avuto un potere magnetico sulla mia attenzione, una montagna che mi ha sempre mostrata fiera la sua pericolosa bellezza ma che, nel contempo, mi infondeva energia unita a paura e mistero.
Simbolo di Napoli, sfondo del golfo più famoso e pittoresco del mondo, il Vesuvio ha incantato per millenni i " Grandi Viaggiatori". Goethe ha romanticamente narrato di "acque bollenti, crepacci esalanti zolfo, monti di scorie opponentisi alla vegetazione, spazi deserti e repulsivi. E poi ancora una vegetazione sempre florida che s'afferma ovunque può, sollevantesi su tutte le morte rovine di un antico cratere".
Giacomo Leopardi con la sua poesia "la ginestra" racconta di "un formidabile monte con un arida schiena che cosparge i campi circostanti di ceneri infeconde e li ricopre di impietrata lava che sotto il passo dei pellegrini risona".
Del Vesuvio hanno scritto anche Matilde Serao, Sigmund Freud e tanti altri e, a colpi di citazioni, si potrebbe andare avanti a lungo.
Oggi il Grande Vulcano c'è ancora. Tranquillo, dopo l'eruzione del 1944, sorveglia un paesaggio che è profondamente cambiato dai tempi di Goethe e Leopardi. Oggi quattro milioni di abitanti sono ammassati nell'area vesuviana: una caotica agglomerazione urbana che collega, senza soluzione di continuità, grandi cittadine, con brutture edilizie, periferie degradate, immondizia che circondano le rovine di Ercolano e Pompei...un vero disastro!!!
L'augurio che il Parco creato nel 1991 faciliti la riscoperta del Vesuvio creando il passo necessario per una nuova convivenza tra l'uomo e uno dei paesaggi più singolari della Terra e per limitare i danni in caso di una ripresa di attività vulcanica di quello che Leopardi descriveva come lo "Sterminator Vesevo".
Ed oggi, proprio nel cuore di questo straordinario e coraggioso parco mi ritrovo per correre la terza edizione dell'Ecotrail del Vesuvio, nel comune di S. Giuseppe Vesuviano, un paesello abbarbicato sotto le pendici del Vulcano e custode attento alle esigenze della Grande Montagna.
Si parte e il sentiero che mi porterà sulla mitica montagna si presenta subito molto panoramico e si presta moltissimo per l'osservazione diretta dei prodotti della terra vesuviana. Si notano coltivazioni di ortaggi tra cui i tipici "pomodorini col pizzo" che poi saranno raggruppati " a piennolo" ed alberi da frutto tra cui spiccano il fico, il ciliegio e il pruno, mentre più in là si intravedono vigneti, noccioleti e qualche esemplare di castagno.
Insomma un paesaggio tipicamente agricolo di montagna con prodotti di eccellente qualità perché il suolo, che si evolve dai prodotti vulcanici e dalle lave solidificate, si presenta quale uno dei più fertili al mondo. Per questo le pendici del Monte Somma e del Vesuvio sono state abitate e coltivate già da tempi antichissimi.
Si sale, a volte con pendenze tremende, e via via che ci si avvicina al crinale del Somma, i segni di civiltà moderna lasciano il posto a boschi che creano un atmosfera di altri tempi.
In queste zone il Parco è riccamente abitato dall'avifauna vesuviana (gruccione, sterpazzolina, picchio muratore) che vivono nei boschi del Monte Somma e razzolano tranquillamente nel sottobosco tra le robbie selvatiche, i pungitopi, i ciclamini e le ginestre dei carbonai.
Più avanti finisce il bosco e comincia una pineta che costituisce il punto d'inizio di un sentiero che percorrendolo in tranquillità, si può assaporare la quiete che offrono le chiome ad ombrello dei pini che si isolano dall'ambiente circostante, per inebriarsi dei profumi della resina e degli aghi e del canto melodioso degli usignoli di montagna.
Dopo la pineta il percorso si presenta molto agevole alternando tratti in discesa e tratti pianeggianti. L'ambiente naturale che si attraversa inizia prima con un bosco misto, variegato da castagni, carpini e roverelle che dominano un po' il sottobosco. Superato un gradone che immette in una strettoia sulle cui pareti sono evidenti le pomici del 79 D.C. si giunge ad uno slargo dove si nota la presenza di un pozzo per la raccolta delle acque piovane di età borbonica. Questa radura si chiama Piana dell'Orso ed è l'anticamera della valle più spettacolare e più ambigua di tutto il Parco: la Valle dell'Inferno.
In questa valle, duemila anni fa, "una nube straordinaria per grandezza e aspetto si alzo' sopra il Vesuvio ed inghiottì le campagne, le città, la costa" (citazione di Plinio). E da qui nacque il fascino delle città sepolte dalla cenere e dai lapilli (Pompei ed Ercolano); da qui nacque il terrore che essa ispirò ai contemporanei, alla fantasia dei "Grandi Viaggiatori" di epoche successive, al rispetto e al timore di una montagna che oggi è un monumento naturale di eccezionale bellezza ed interesse.
Riprendo il cammino in questa valle spettacolare e, dopo un primo tratto in salita, il sentiero si presenta pianeggiante e ci si incanta davanti all'esplosione dei colori della macchia mediterranea: il giallo delle ginestre, il rosso della valeriana, il lilla della vedovina minore ed il bianco della carota selvatica.
Adesso il selciato cambia completamente perché si presenta invaso dai depositi piroclastici dell'ultima eruzione del 1944: insomma si corre su di un fiume di lava solidificata con una tipica colorazione grigio - argentata. Le pareti laterali, di un grigio sbiadito, infondono sensazioni cupe al mio spirito, addolcito un po' dal bellissimo panorama che comincia pian piano a delinearsi ai miei occhi: il Golfo di Napoli e le sue isole. Ma resta rapito dai versanti nudi del Vesuvio che assumono un aspetto quasi lunare e, dall'altro lato, le sentinelle cupe di un paesaggio spettrale: i Cognoli di Giacca e Trocchia del Monte Somma.
La Valle dell'Inferno rappresenta una delle più suggestive passeggiate perché e poca battuta e perché solo da qui si vive l'imponenza del vulcano.
Parzialmente invasa dalla lingua di lava dell'ultima eruzione, il sentiero per il primo tratto si sviluppa in una pineta, in forte pendenza con tornanti che attraversano un grande slargo invaso da una grandissima macchia di ginestre. Si dice che qui Leopardi trasse lo spunto per la sua poesia in cui narrava, in tutta la sua tragica trama, la gentilezza di questo fiore nato sopra le lave dello Sterminator Vesevo.
Da qui, alzando la testa, si possono ammirare in tutta la loro grandezza, i Cognoli che circondano il Grande Cono. I "Cognoli" sono le cime del crinale del vecchio vulcano. Se ne contano ben sei ma il più famoso è quello del "Nasone", il più alto, da cui si domina tutto il complesso vulcanico, abbellito anche dagli splendidi esemplari di castagni centenari abbarbicati su speroni rocciosi lavici, molto somiglianti alle narici di un " grande nasone".
Siamo arrivati finalmente alla ciliegina sulla torta: l'ultima ascesa, la salita al cratere, la scalata al "Grande Cono".
L'ascesa al Cono è caratterizzata, nel primo tratto, da una serie di tornanti estremamente panoramici. Si ammira l'antico vulcano del Monte Somma separato dal Vesuvio dalla Valle del Gigante che, ad Ovest, prende il nome di Atrio di Cavallo. Più in la si riconosce il Colle Umberto, sede dell'Osservatorio Vulcanologico Vesuviano, il primo fondato nel 1841.
Raggiunta la casetta del Presidio Permanente del Vesuvio, mentre i numerosi turisti sono intenti a pagare i pedaggi, io proseguo per un viottolo che presenta ripetuti affacci sulla bocca del cratere.
Affacciarsi sull'orlo del cratere è un esperienza da brivido. Le sue pareti interne sono impressionanti. Minerali e licheni donano alla roccia mille forme e colori. In qualche punto si alzano le "fumarole", ovvero flebili respiri del magma terrestre. A tratti sembra attraversare un paesaggio lunare o di un pianeta ai primordi della vita.
L'emozione di camminare sul bordo del cratere è doppia perché alla visione interna del vulcano fa da contrappunto il magnifico panorama sulla costa partenopea, una vista che spazia dalla Penisola Sorrentina ai Campi Flegrei, dalla Valle del Sarno alla città di Napoli, dal suo arcipelago alla sua cinta metropolitana.
Dall'alto del silenzio del Vesuvio osservi chiaramente l'aggressione dell'uomo alla natura e comprendi l'importanza di preservarlo, ti sintonizzi sui lenti ritmi della meditazione e percepisci che laggiù gira tutto troppo veloce....
Finalmente si scende.
La discesa dal cratere è il sentiero più panoramico del Parco perché spazia su tutta la costa marina del Golfo di Napoli. Si chiama "la Strada Matrona" perché costruita ad opera dei fratelli Matrone che "invece di godersi la pace e la rendita dell'uva e delle albicocche" vollero misurarsi con il Vesuvio realizzando questo splendido sentiero acciottolato che dal mare porta i turisti fino alla bocca del vulcano.
Dopo aver girato intorno al cratere dal lato Sud mi immetto su di un viottolo che mi porta sul sentiero iniziale e, cavalcando allegramente come un cavallo a briglie sciolte, in una gradevole e lunghissima discesa, arrivo al traguardo di S. Giuseppe Vesuviano.
E qui finisce la mia corsa sulla "rena" vesuviana, un altra corsa davvero speciale tra rocce e cielo, su di un paesaggio considerato un icona mondiale ma soprattutto per aver provato la gioia di aver realizzato un altro sogno di un fanciullo che sognava ad occhi aperti questa stupenda montagna.
...un ultima considerazione su questo vulcano....
Il Vesuvio non è un semplice vulcano. È qualcosa di più. È parte integrante di uno dei territori più sovrappopolati del mondo, è parte della cultura del popolo che vive alle sue falde e nonostante sia uno dei più pericolosi vulcani attivi al mondo, il suo popolo lo vive , lo esalta e soprattutto...lo ama.
Per chi come me e per tutti i napoletani cresciuti e vissuti alle sue pendici, esso è stato quasi un secondo padre che ha vigilato i suoi figli dall'alto, donando loro tranquillità, serenità, terreno fertile e proteggendoli dai venti del freddo Nord.
Ciao a tutti i podisti che amano le bellezze delle vere montagne.
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Ettore Golvelli Gara: Ecotrail del Vesuvio (24/05/2015) SCHEDA GARA |