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Una lunga emozione
di Roberto Trasatti, 25/10/2014

L’ho fatta!
Cosa?

La mia prima maratona.
C’eravamo lasciati su queste mie parole, su questi miei pensieri, su queste mie emozioni:
“La mia prima Maratona … forse …
Era tanto che non scrivevo più.
Avevo un altro impegno, un’altra urgenza.
Dovevo ricostruirmi dopo una caduta. Dovevo ritrovare quella regolarità che avevo perduto. E per fare questo non residuava spazio per la scrittura. Ogni mia forma di energia era impiegata a tornare quello che ero stato.
E quando sono tornato, non c’era più bisogno di scrivere: avevo raggiunto una relativa pace.
Si, perché, di solito, scrivi quando c’è qualcosa che non ti torna, qualcosa che non ti lascia stare, qualcosa che hai voglia di dire ma non riesci a dire. E allora non è neanche faticoso mettere una parola dopo l’altra. Diviene un intimo bisogno: devi solo tradurre le emozioni che fuoriescono da te e ordinarle su un foglio, proprio come adesso.
Ora qualcosa è cambiato. Ora ho di nuovo bisogno di prendere in mano una penna. Ora c’è una frenesia più forte di quella pigrizia che rende le giornate una uguale all’altra.
La sfida, o meglio, l’idea della sfida, con tutto ciò che comporta, fa parte del mio carattere. Ne cerco una, fisso un obiettivo, do tutto me stesso per centrarlo. Magari ci riesco, magari mi rendo conto che è troppo ambizioso e lo ridimensiono strada facendo ma non mi arrendo mai. Poi sto in quiete per un po’ finchè non torna la smania di cercare un’altra avventura, di comprare il biglietto per un nuovo viaggio. D’altronde siamo su questa Terra senza averlo chiesto, senza sapere perché, recitando ognuno la sua parte. Ci viene concesso un periodo di tempo di cui non conosciamo il termine ultimo. E allora conviene non lasciarsi morire inerti prima che giunga quel giorno, quel termine.
E le sfide sono proprio il modo per far passare il tempo concessoci vivacizzandone la permanenza, rendendola più interessante, emozionante, per darci l’illusione di vivere qualche istante da protagonisti invece che da semplici comparse.
E, in questi ultimi tempi, una nuova sfida mi ha cercato e mi ha trovato in un terreno per me naturale: la corsa.
Era un incontro che entrambi sapevamo di non poter evitare: la Maratona, la regina delle corse, il mio esame di laurea.
Cos’è la Maratona?
Non lo so. Ancora non lo so. Non l’ho mai corsa. Forse lo saprò.
Da più di un mese mi sto allenando per Lei.
Forse anche chi non ha mai indossato quelle scarpette così familiari per noi runners, leggendo queste poche righe, potrà immaginare quale significato possa assumere una Maratona per chi vi partecipa. Forse, pur non considerandola null’altro che una corsa lunghissima, potrà comprendere, anche se di sfuggita, cosa suscita in chi si appresta ad appuntarsi un pettorale su quella maglietta. Forse anche chi considera la corsa solo come un’attività inutile, converrà sull’utilità delle cose inutili: spesso sono infatti proprio le cose inutili che, donandoci un sogno, ci conferiscono quella forza indispensabile per costruire tutto il resto che consideriamo utile.
Ma per me cosa significa? Cosa ho capito fin qui?
Ho capito che è una disciplina interiore, una regola da osservare come un’arte marziale, che l’avversario sei tu, che quando corri per così tanti chilometri non è più la mente a pensare ma è tutto il corpo ad esprimersi, che è una forma di poesia fruibile solo da chi l’abbraccia, che è Vita.
Non c’è nessun altro istante in cui mi sento più vivo di quegli attimi che talvolta la corsa inaspettatamente concede: sono lampi in cui il tempo si dilata e il corpo non sembra più soggetto ad alcuna gravità. Sei libero di vivere senza nessun peso.
E poi c’è l’ovvio che ovvio non è.
C’è la programmazione ossessiva per ogni aspetto, c’è la tabella degli allenamenti che consulti continuamente anche se la conosci a memoria, ci sono i libri che hai letto sull’argomento, c’è il tempo trascorso a parlarne con chi l’ha già corsa, c’è l’eccitazione ma anche la tensione che ti pervade già qualche giorno prima di un lunghissimo e che solo un runner conosce, c’è la ricerca del giusto ritmo gara che non puoi sbagliare, ci sono i sensi di colpa a tavola, c’è l’attenzione ad ogni singolo segnale del corpo, c’è il timore d’infortunarsi nel corso della preparazione, c’è l’adrenalina e l’esaltazione del dopo allenamento, c’è la paura di non farcela ma, più di ogni altra cosa, c’è la voglia di alzare al cielo le braccia nella Mia Città dopo 42 chilometri e 195 metri.
E poi c’è qualcosa che forse riassume tutto, qualcosa di insito nell’uomo: l’ebrezza di tentare l’impresa, di giungere in luoghi sconosciuti, quella stessa sensazione che, con tutte le dovute distanze, sono sicuro abbia accompagnato Colombo nella scoperta dell’America o Armstrong in quell’indimenticabile camminata sulla Luna.
Non so come andrà. Non voglio pensarci ora.
Voglio però assaporare una per una tutte le emozioni che mi sta regalando e Vi assicuro che non sono poche!”


Mentre scrivevo queste parole, in quei giorni, c’erano quattro fogli di carta che mi giravano sempre in mano: erano quella tabella che mi ha accompagnato quotidianamente per quattro mesi della mia vita.
In questepagine non poteva mancare, è entrata di diritto.
La propongo con i commenti che ho registrato di getto alla fine di ogni allenamento.


Gara: Maratona di Roma (23/03/2014)

SCHEDA GARA



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