Duro, tanto duro che più duro non si può di Stefano Tonchi, 28/07/2007
2440 metri di dislivello.. ma non li dimostra Quest’anno mi ero ripromesso di provare il famoso Grand raid du MERCANTOUR con partenza da St. Martin Vèsubie (F), paesino della Provenza nelle Alpi Marittime, dopo aver terminato l’anno scorso il già duro Raid du Cro Magnon 102 KM e il fantastico Ultra Trail du Mont Blanc 158, per il fatto che i luoghi sono di incomparabile bellezza e conservano un ambiente stupendo, anche se il percorso del Mercantour è di una durezza assoluta. Grazie a Dio, esistono ancora tali paradisi montani.
L’ente Parc National du Mercantour, concede solo ogni due anni l’autorizzazione della gara e, in questo lungo lasso di tempo, gli organizzatori hanno pensato bene di apportare delle varianti al percorso, per eliminare il rischio di incorrere in eventi drammatici come nell’edizione 2005, quando alcuni atleti per un pelo non ci avevano lasciato le penne ed avevano riportati seri infortuni.
Mi dicevo: “Meno male,che hanno tolto il passaggio della Cime du Diable, però hanno aumentato il dislivello positivo da 5.850 a 6.586 metri, riducendo così il grado di pericolosità”. Teoria risultata poi completamente errata.
Siamo partiti per questa avventura con altri amici amanti e malati forse anche più di me. Ma chi ama la natura, e in particolare la montagna, sa che queste sono occasioni ghiotte da non perdere.
La trasferta non iniziava con i migliori auspici. Tanto per cominciare le condizioni meteo del venerdì erano pessime. Dalle parti di Ventimiglia si abbatteva sulla costa un nubifragio che ci accompagnava quasi fino a destinazione e la perturbazione acquistava vigore all’interno. “Mamma mia, pensa domani!”.
Il rischio era la sospensione della competizione come era successo al Cro-Magnon pochi giorni prima, dove i concorrenti erano stati obbligati a fare dietrofront a causa delle tormente di neve in quota.
Il gruppo affiatato dai soliti che definisco “gravemente malati di montagna” era composto oltre da chi scrive da:
Giovanni Torelli – vero super ultra marathon man, Giovanni Baldini – altro ultraman, mai stanco e sempre pronto a partire per questo tipo di corse, Massimo Guidobaldi – vedi sopra, Raffaello Alcini – vedi sopra, Domenico Peruzzini - ha fatto la mezza dell'utmb 2006 (86km) e Ferdinando Iacovelli Marathon des sable.
Al centro maratona, nel primo pomeriggio di venerdì 15 giugno 2007, ci raggiungevano i fuoriclasse piemontesi: Simone Musazzi da Alagna Valsesia (VC) e Marco Galletto da quel di Triviero (BI). Poi tutti ci siamo diretti allo Chalet C.C.A.S. per concederci il riposo prima della partenza fissata per le ore 4,00 (ovviamente di mattina) di sabato 16 giugno 2007.
Si preparava con cura maniacale il materiale obbligatorio per affrontare la distanza di km 102 e 6.856 m.di dislivello positivo in regime di autosufficienza.
A letto prestissimo, perchè la levataccia era alle ore 1,30.. In questo gruppo si racchiudeva un po’ il “Gotha” delle competizioni di resistenza (e anche di difficoltà) estrema.
Nessuno, però ostentava i suoi “galloni”, nella compagine regnava la modestia, virtù ormai sempre più rara. Ci si ascoltava l’uno con l’altro in un clima di reciproca ammirazione.
Alle ore 4,00 eravamo tutti sotto la linea di partenza (quota m. 969) con altri 500 “pazzi scatenati” che gira che ti rigira erano sempre gli stessi a parte qualche new entry. Le condizioni meteo sembravano favorevoli: cielo limpido stellato anche se spirava un vento piuttosto freddo. Partivo con pantaloni al ginocchio, maglia termica sotto più maglia tecnica sopra e manicotti tipo ciclista (utilissimi) per quando tirava vento in quota.
Attraversavo l’abitato di Venanson (m. 1164 + 195) ) ed arrivavo al Col de Colmiane (m. 1641 + 690). Era buio pesto e da tergo lo spettacolo della scia delle frontali del serpentone degli atleti, era esaltante.
Col salire di quota l’aria iniziava a farsi tersa e all’alba, giù per una discesa abbastanza veloce raggiungevo il paesino di St. Dalmas de Valdeblore (m. 1285). Cominciava la dura salita sino al Col de Barn (m. 2457 + 1868) dopo aver attraversato il Col du Vellos (m. 2107 +1433).
In prossimità del Col de Barn (m. 2457 +1868), il vento freddo si faceva sentire ma avendo addosso una maglia aderente traspirante e sopra un’altra maglietta tecnica, con i magici manicotti non soffrivo più di tanto il freddo.
Nell’altro versante del colle, spettacolare e ricco di corsi d’acqua, venivo superato da Galletto febbricitante. “Non sto bene, ho la febbre!” diceva. Per fortuna! Pensavo cosa avrebbe fatto in condizioni normali. Davvero impressionante come affrontava quella discesa in mezzo alle pietraie e la mia discesa, in confronto, sembrava fatta che vada col il freno a mano tirato!
Comunque io devo salvaguardarmi le mie martoriate caviglie, e su questi tipi di terreno, ogni storta può essere fatale. Si scendeva di quota sino alla Vacherie du Collet (m.1842) dove facevo un piccolo pasto frugale a base di Tuc, pane e salame e Coca Cola. Raggiungevo il Col de Salese (m.2032 +2063) dove la temperatura, ora, era sensibilmente più gradevole.
Al ristoro de Le Boreon (m.1500 +2072), dopo aver percorso un tratto di circa 2 km di strada asfaltata mi ritrovavo con Baldini e Torelli attardati di pochi minuti.
A Le Boreon mi rifocillavo e partivo su per il Pass de Ladres (m.2448 +3031). Il tragitto è di rara bellezza: cascate, laghetti, nevai, rododendri in fioritura scarlatta facevano bella mostra di se.
In quota la temperatura rimaneva sempre rigida complice un vento che a volte era fastidioso. Si valicava il vicino Col des Fenestres (m.2474 +3150), punto di confine con l’Italia. La discesa che portava al santuario de La Madonne de Fenestre (mt.1880 +3150) è costellata da una pietraia che non concedeva distrazioni.
Complice la fatica, la caviglia sinistra di Baldini cedeva di schianto in mezzo ai sassi e rovinava a terra tra urla lancinanti. Immergeva il piede nell’acqua gelida di un torrente, e ripartiva!!!
Ero curioso di assaporare la variante del Pas du Mont Colomb (m.2548 +3815), una forcella non più ampia di tre metri incastonata tra due maestosi pinnacoli. Il sentiero spariva e si doveva procedere per un’immane erta tra sfasciumi e nevai. Questa faticosissima ascesa iniziava a mietere le prime vittime.
Era saggio non guardare in alto per non essere presi da crisi di sconforto. Una ragazza giaceva sopra un masso esausta con gli occhi vitrei. Si cercava di farle riprendere il cammino ma invano. Non ne aveva più.
Nell’altro versante, un paesaggio mozzafiato con pinnacoli e vette innevate. La discesa tuttavia si rilevava estremamente pericolosa. Un abisso di 900 m. per arrivare al Pont du Countet (m.1698). Nella prima parte sarebbero state necessarie le corde e avanzavo saltando tra un masso e un altro, con il rischio di una caduta che a quel punto sarebbe risultata fatale.
Ora arrivava la scalata del Pass dell’Arpette (m.2514 +4630). Passo spedito e potente, ma a circa metà salita dovevo rallentare poichè la stanchezza si iniziava a far sentire (54km). Incontravo il Torelli a circa metà salita seduto e sfinito. Aveva voglia di riposare. Lo incitavo a proseguire, ma rallentava visibilmente.
Arrivavo di corsa al Refuge de Merveilles (m.2180) e da lì era vietato l’uso dei bastoni sino al Pas du Diable (m.2428 +4951). In solitudine, davanti a me, prima di arrivare al passo, troneggiava imponente la vetta della Cime du Diable. Avanzare in solenne solitudine in quel paesaggio fantastico dava delle sensazioni strane ma allo stesso tempo appaganti.
Il vento si placava e il silenzio regnava assoluto, interrotto qua e la’ dal richiamo delle marmotte e dallo scalpitio di stambecchi e camosci. Tutto in una volata, in un paesaggio ameno fatto di foreste di larici e abeti, oltrepassavo il Col de Raus (m. 2000) e a seguire il Granges du Colonel (m. 1633). Da lì si proseguiva per la variante che portava al Relais des Merveilles (m.1560 +5191). Numerosi corsi d’acqua scendevano dalle montagne tra spettacolari cascate, che formavano numerosi laghetti e dove spesso ero costretto ad inzuppare i piedi su sentieri invasi dal fango.
Molti atleti, al Relais de Merveilles (m.1560 +5191), decidevano di gettare la spugna perchè avevano dato il massimo e non avevano più le forze per continuare. Qui mi rifocillavo con dei brodini di dado assai saporiti che mettevano un po’ di tepore nel mio corpo , che si apprestava ad affrontare una seconda notte.
Indossavo una micropile termico e mi equipaggiavo con doppia lampada frontale per fronteggiare gli ultimi 25 km con ancora tre asperità. Partivo per la salita che portava sulla cima del Baisse de Prais (m.2339 +5976). Mi univo ad un gruppo di due italiani e due francesi con i quali ci alternavamo al comando del piccolo plotone. In prossimità della cima le tenebre ci avvolgevano e due grossi cani da guardia a un gregge di chiassose pecore ci puntavano minacciosi. Avranno pensato: “Chi saranno ‘sti matti in giro per le montagne di notte?”.
Dalla cima si intravedevano le luci della lontana Nizza. E poi giù per un aspro pendio, dopo aver oltrepassato il Borne 364 (m.2149), arrivavo per la seconda volta al santuario de la Madonne de Fenestre (m.1880) in compagnia di nutrito gruppo di atleti. Dopo un pasto frugale a base di minestra e tranci di baghette, decidevo di ripartire subito per compiere i restanti 17 km, prima che l’aria sempre piu’ fredda della notte mi giocasse qualche brutto scherzo.
In brevissima successione, valicavamo: la Cime du Pisset (m. 2230 +6354), il Pas de Roubines de la Mairiis (2106) e infine l’ultima vetta della Cime de Piagù (m.2338 +6586). Da là in alto ecco apparire l’agognata meta, cioè St. Martin Vèsubie (m. 980) che sembrava cosi vicina, quasi da toccarla con mano.
Io e due ragazzi francesi partivamo per la lunghissima discesa che ci avrebbe portato al traguardo. Sapevamo che ci separavano ancora circa 1400 m. circa interminabili ed difficili…. al buio. Più volte perdevamo il sentiero. Ci aiutavamo a vicenda per ritrovarlo. Pensavo agli altri, a parte Musazzi e Galletto che avanzavano a velocità astrali e già da un pezzo giunti al traguardo (per la cronaca 1° e 3° degli italiani) e che stavano gustandosi il meritato riposo, gli altri probabilmente sarebbero arrivati dietro di me, in una gara dove la concentrazione deve essere costantemente ai massimi livelli per non farsi davvero male.
Alle 05.25, dopo 25 ore di corsa, salite e discese, l’entrata a St. Martin Vèsubie: io e uno dei due ragazzi francesi a braccia alzate tagliavamo il traguardo miracolati. Un misto di emozione ed incredulità per quello che avevamo compiuto. Il congedo, le foto e via verso il dormitorio dove giaceva Iacovelli, saggiamente ritiratosi volontariamente al 45° km (di più non poteva chiedere) e Alcini che era stato bloccato dai giudici di gara al cancello orario del 50° km.
In successione arrivavano Guidobaldi, Torelli e infine Peruzzini appena 40 minuti prima della chiusura della competizione. Alla seconda esperienza in una corsa del genere (la prima ad agosto 2006 con la “corta” dell’U.T.M.B.).
Avevamo i volti e le caviglie distrutti per lo sforzo sovrumano, ma inebriati dai ricordi.
Dopo un breve riposo in branda, alle 10 e 30 si ripartiva per far ritorno in Italia.
Chissa’ se un giorno tornero’ in questi splendidi posti, magari per rifare la stessa gara. Per adesso voglio prendermi solo un po’ di riposo e poi prepararmi per La MADRE DI TUTTI I TRAIL … ALMENO IN EUROPA. L’ ”ULTRA TRAIL DU MONT BLANC 2007” - 163 km… (quest’anno l'hanno allungato di 5 km!!!) LO SCOPO E’ QUELLO DI ABBASSARE IL MIO PERSONALE DI 40H E 11MIN. SPERIAMO BENE.
Grazie!
UN RICORDO AFFETTUOSO PER QUELLO CHE E’ STATO IL MIO PRIMO E UNICO COACH….. IL GRANDE MIMMO!
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Stefano Tonchi Gara: Le Grand Raid du Mercantour (16/06/2007) SCHEDA GARA |