E’ passato più di qualche giorno dalla nona edizione di questo ultratrail tra i più famosi della penisola ed ancora sono vivi nei miei occhi i ricordi delle ore passate insieme ai compagni, i panorami a perdita d’occhio, il cielo notturno.
Già dall'inizio della settimana erano previste condizioni meteorologiche sfavorevoli in quella zona dove il fango la fa da padrone soprattutto, nella discesa del Lama.
Partiamo con Antonio da Roma alle sei alla volta di Pontremoli dove ci attende, la navetta che ci condurrà a
Bobbio, i tempi sono stretti la partenza è prevista per le 13 ma arriveremo sicuramente in tempo.
La strada è tortuosa e lungo il percorso notiamo tutte le cime che dovremmo attraversare il giorno dopo e finalmente siamo a Bobbio. Ivi nel 613 a.D.
l’abate e santo irlandese Colombano fondò la celebre Abbazia, poi centro europeo culturale e religioso, nonché grande studio 'scriptorium' del medioevo. A quei tempi, la
“Via degli Abati” venne utilizzata dai monaci per il raggiungimento di Roma, oltre che dagli ecclesiastici irlandesi in pellegrinaggio alla tomba di San Colombano, e per il trasporto e la distribuzione dei prodotti dai possedimenti monastici di San Colombano verso i territori piacentini, le Valli del Ceno e del Taro, e la Toscana. Essa collega le medievali Bobbio e Pontremoli, proseguendo poi per Roma, facendosi largo tra i millenari boschi, le gole e i torrenti degli Appennini tra le province di Piacenza, Parma e Massa-Carrara. Innumerevoli i borghi, le chiese, le rocche ed i luoghi rimasti immutati nel tempo, dove solo gli elementi naturali e l'abbandono da parte dell'uomo hanno contribuito all'attuale fascino. Il paese si popola di trailer che giungono alla spicciolata. Il tempo di salutare qualcuno, ritirare il pettorale, recarsi al pasta party e poi direttamente in palestra consapevoli di ciò che ci attende l’indomani.
La mattina nonostante le previsioni nefaste la giornata promette bene, ci avviamo verso la piazza dove ritroviamo Raffaello, Lilia, Barbara, Pietro e altri. Si parte e dopo un breve giro del paese attraversiamo
il romanico ponte sul fiume Trebbia, importante corso d'acqua e silente testimone dell'epica battaglia che vide il condottiero Annibale vittorioso sulle truppe dell'Impero romano. Ci si inerpica in salita per raggiungere Santa Cecilia e poi affrontare una ripida discesa per raggiungere Colli dove è situato il primo ristoro. Vediamo campi arati immersi nella bruma del mattino, casolari in pietra locale, calanchi, biancane, borghi arroccati ed ecco che si affronta la prima vera cima della giornata,
la Sella dei Generali, nome appropriato in quanto lungo il percorso sono disseminati grossi ammassi rocciosi di colore scuro che con il loro aspetto imponente sembrano posti a guardia del valico. Splendido itinerario sullo spartiacque fra le valli Trebbia e Nure, altamente panoramico, che si svolge tra praterie in quota, sconfinate vedute sull'Appennino settentrionale (fino alle lontane Alpi Apuane), sulla Pianura Padana, sulle Alpi.
Il sentiero in discesa verso Farini domina dall'alto il vasto corso del
fiume Nure nel paese, alcune case sono state letteralmente sventrate dalla potenza dell'esondazione causata dalle ingenti precipitazioni del 15 settembre 2015 che purtroppo hanno causato anche una vittima a seguito del crollo di una strada ma, non c'è tempo per distrarsi siamo appena al 30° km e dopo un breve fermata al ristoro e un pit-stop ci avviamo verso l’abitato di
Groppallo (945 m s.l.m.) posto all’interno della vallecola Lavaiana, media valle del Nure, un’imponente rupe ofiolitica, la cui presenza ha condizionato l’origine stessa del toponimo, derivato da groppo/altura. Fino alla metà del Novecento il paese conservava l’originario nome di Barsi, mentre il termine Groppallo era riservato al rilievo sovrastante, chiamato anche Castellaro per aver ospitato in epoca medievale un fortilizio. Si attraversa il paese e poi di nuovo salita verso il fatidico
Monte Lama. Al ristoro dalle schede di rilevamento dei concorrenti si nota che molti di questi non risultano all'appello.
La salita, lungo la
Costa della Stirata è dolce, anche se ci sono brevi tratti sassosi e ripidi, in boschi di faggi; ogni tanto si intravede in lontananza la figura inconfondibile della chiesa di Groppallo, che sovrasta maestosa il paese su una collinetta. Si affronta l’ultimo tratto del colle su sentieri fangosi esposti al vento. Poi innanzi a noi si erge il
Monte Castellaccio, una cuspide pietrosa, (la configurazione del massiccio ricorda la testa di un animale) che raggiungiamo attraversando un lungo prato e poi prendendo il sentiero a destra in lieve salita. Siamo ormai giunti alla sommità del Monte Lama, sovrastata da una grande croce di ferro e da una vista fino alla pianura padana (1348 m s.l.m.).
In lontananza, di fronte possiamo apprezzare la vista del massiccio pietroso del Monte Menegosa. Qui inizia uno dei tratti forse più difficile dell'intero percorso:
la discesa dal monte è un tratto lunghissimo nel bosco fangoso e sassoso, si devono superare le cosiddette piscine, vasche di acqua che invadono tutta la carreggiata e in alcuni punti sprofondano per qualche decina di centimetri per cui, vanno aggirate inoltrandosi fuori sentiero nel bosco. Per di più inizia a piovere e in breve le scarpe sono già ricoperte di fango;
è una lotta continua per rimanere in equilibrio, il cielo è scuro e sembra già sera.
Ecco finalmente
Bardi il 2° cancello delle 13 ore e 1° "punto vita" raggiunto, con un certo anticipo. L’abitato è dominato dall'imponente castello costruito in posizione sopraelevata su uno sperone di diaspro rosso. Bardi, secondo la leggenda, deriverebbe da "Bardus" o "Barrio", l'ultimo degli elefanti al seguito dell'esercito di Annibale che sarebbe morto qui durante la marcia verso Roma. In suo ricordo, Annibale avrebbe quindi deciso di fondare una colonia. Secondo la storia invece il toponimo Bardi deriverebbe dall'appellativo che contraddistingueva la nobiltà longobarda - i cosiddetti Arimanni - un gruppo che si stabilì qui attorno al 600 d.C..
Qui incontro Antonio che non vuole saperne di continuare ma subito lo sprono e riparte. Il tempo di cambiarmi onde affrontare la notte e mangiare del cibo caldo per poi ripartire. Affronto prima un single-track che in discesa mi porta sulla strada statale e dopo aver attraversato il ponte sul Ceno riprendo a salire, la carrareccia corre lungo una dorsale panoramica ed arrivo ad
Osacca ove mi rifocillo e riparto. Si fa sera e percorro un lungo tratto prima in salita nel bosco e poi, immerso nella nebbia riprendo una dorsale, ogni tanto incontro qualcuno che passa e ci troviamo tutti dopo una discesa presso un lauto ristoro. Il sentiero si inerpica nel bosco più fitto, è l’ultima salita da affrontate prima del lungo tratto di discesa verso il 2° "punto vita" di
Borgotaro posto nell’omonima valle del fiume Taro. Fino a questo momento il meteo contrariamente alle previsioni ci ha graziato ma ci concede giusto quei pochi minuti per assaporare un qualche cosa di caldo al ristoro e all’improvviso si scatena una pioggia incessante che ci accompagna fino al 3° cancello.
Finalmente siamo al 90° km, qui ci accoglie un camino acceso che ci permette di asciugare un po’ gli indumenti, ci si siede per far riposare le gambe, c’è chi si toglie le scarpe, chi dormicchia, chi fa lo stretching ... si riempie la borraccia d'acqua, un po’ di grana, due banane ma tutti si attardano perché
nessuno ha il coraggio di uscire sotto il temporale. Ognuna di queste fermate è una chiacchierata, una storia nuova ...
perché la cosa più importante è trovare anche il tempo di parlare, scherzare e ringraziare quelli dello staff.
Finalmente cogliamo l'occasione dell'arrivo della scopa per ripartire in gruppo nel buio più fitto. L’alba ci vede affrontare la salita che ci porterà al crinale del Borgallo. Ma prima, attraversiamo San Vincenzo, edifici rurali da cui spiccano architravi in arenaria con croci delle quali una, particolarmente interessante, reca scolpita l'insegna della corporazione dei fabbri ferrai. Da lì si scende lungo un sentiero sino al ponte sul torrente Tarodine e, una volta attraversatolo, ci si dirige lungo la strada asfaltata sino al paese di
Valdena.
Andiamo ad attraversare poi l'antico borgo di Valdena, una piccola frazione della Val Tarodine. Poco dopo si raggiunge la Chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, ove è possibile ammirare la statua di un pellegrino di ritorno da Santiago di Compostela (lo dimostrano la mantellina, il bordone ed una conchiglia, segno distintivo di coloro che erano stati alla tomba di San Giacomo).
Nei pressi della Chiesa si lascia l'asfalto per imboccare una pista forestale che si inoltra in un bosco di annosi castagni. Il castagneto era una coltura tipica del versante esposto a nord del fiume Taro. Ancor oggi, nonostante l'abbandono della coltivazione, che ha portato alla ceduazione di parecchi boschi, sono presenti numerosi esemplari di vecchi castagni, un tempo indispensabili per la sopravvivenza delle popolazioni montanare.
Attraverso castagneti, pinete e faggete si arriva ad una brughiera di vetta nella cui cima si trova il Passo del Borgallo. La via del Borgallo, il cui Passo si trova ad un'altezza di 1017 metri s.l.m., è di origine altomedievale; il comune di Pontremoli la doveva tenere aperta per le soldatesche di passaggio che si volevano allontanare dal borgo. Dal passo il panorama è stupendo, sia verso la Toscana, con le Apuane, sia verso il parmense, con le catene montuose tosco-ligure-emiliane poste a raggera e con Borgo Val di Taro in primo piano.
Attraversiamo tutto il crinale arrivando ad un cippo che ricorda il sacrificio dei partigiani che combatterono su questi monti durante la Resistenza. Scesi nella valle del Verde, in una zona ricoperta da una fitta boscaglia, ci si imbatte in gruppi di case come Farfarà e si giunge alla cascatella della Pisciarotta; la strada continua in leggera discesa con cari tornanti costeggiamo il Lago Verde, alimentato da acque sorgive, aumento il passo spronato da Armando che fila via e abbandono i compagni di viaggio finche’ attraversando un vecchio castagneto appare Cervara. Si intravede Pontremoli in basso,
fa caldo ma l’arrivo è ormai alla mia portata la strada si avvicina al Magra per poi attraversare il paese e finalmente l’arrivo.
Un grazie a tutti gli organizzatori e ai nuovi amici conosciuti lungo il percorso per la compagnia che mi ha permesso di superare i tanti timori e situazioni insite in un percorso di tal fatta.
Si è trattato ancora una volta di un viaggio interiore che ognuno fa dentro se stesso e che sole le lunghe distanze permettono di realizzare.
Come in tutte le ultra maratone ma soprattutto negli ultra trail difficilmente si resta indifferenti,
esse lasciano un segno indelebile che serve come esperienza per affrontare nuovi limiti.
Ciò che rimane è un bagaglio umano di notevole spessore, ci si mette in gioco per testare la propria resistenza fisica, la capacità di sostenere certi ritmi, superare i propri, ascoltare interiormente se stessi, le proprie emozioni, le fatiche. percependo alla fine valori essenziali quali il rapporto con gli altri.