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L'intervista al podista: Vincenzo Managò, un ex ancora in servizio.
di Vincenzo Managò, 01/04/2021

Maratona di Roma 1982 3h 00’ 11”

Maratona di Roma 1982 3h 00’ 11”

Sono purtroppo un ex podista, ma nei miei trent’anni di pratica qualcosa da dire l’ho accumulata.

Sul finire del 1974, assunto dalla Banca d’Italia, fui destinato alla splendida e fredda Bolzano, un territorio per me sconosciuto, una popolazione divenuta Italiana per forza, un sistema di vita completamente diverso, una cultura sportiva evoluta (nessuno ti rideva in faccia se correvi per strada, come accadeva allora a Roma), insomma per me a 25 anni fu la prima vera uscita da casa. Andai a vivere in affitto con un collega romano podista di qualità, Stefano Del Mastro, il quale ogni pomeriggio al rientro dall’ufficio si bardava con due tute, guanti e zucchetto e diceva “io mi vado ad allenare”. Io mi domandavo ma cosa vuol dire allenarsi? Boh ma chi glielo fa fare con questo freddo. E la curiosità fu tanta che, spinto anche da lui, una sera decisi di accompagnarlo; con gli indumenti prestatimi da lui e con una certa dose di incoscienza resistetti per mezz’ora alla sua andatura non proprio tranquilla.

Era il segno che potevo insistere, e infatti ripetei l’esperienza non certo con la sua frequenza, mi bastavano due volte a settimana, ma ben presto ci presi gusto e, dal momento che contemporaneamente giocavo a tennis nei campi coperti e circondati dalla neve, decisi di scegliere la corsa. Non me ne sarei pentito, mai. Dopo soli tre mesi di pratica partecipai alla 2. Edizione della Roma-Ostia, che allora era di 28 Km! Ricordo ancora l’attenzione posta a non inciampare sulla grossa catena che stava tra due colonnette che delimitavano l’ingresso al Circo Massimo, luogo di partenza sì suggestivo ma forse non troppo idoneo, ma anche gli organizzatori erano agli esordi. Via con i saliscendi della Colombo fino al Palasport e poi ancora verso il mare, altre salite e vento, e pioggia, tanta pioggia fino quasi alla fine, dove arrivai esausto ma anche col tempo decente di 2h 4’47”. Le gambe non le sentivo più, anzi erano due ciocchi di legno stagionato, e la sera sprofondai nella cuccetta del treno che mi riportava a Bolzano, dormii pesante senza accorgermi di niente.

Seguirono altri allenamenti anche più mirati, ed altre gare di vario tipo, e quando lasciai Bolzano per andare a Firenze il terreno più a portata di mano erano le Cascine, che oltre ai podisti annoveravano anche altri tipi di frequentatori, ma ognuno fa quello che gli piace.

Tornato a Roma ho incrementato le sedute di allenamento, ma neanche troppo, al massimo stavo a 4 a settimana, guidato però da chi se ne intendeva. Mario Vaiani Lisi, professore di educazione fisica con la passione e la classe (aveva partecipato agli incontri in pista tra Nazioni che allora erano frequenti e a Milano realizzò 2h 17’ sulla maratona), entrai così in una nuova dimensione, l’atletica di qualità fatta con raziocinio, certo forse non si poteva chiamare amatoriale, ma funzionava. Tanto per capire, seguirono altre Romaostia a 1h47’ prima che la accorciassero a 21Km (1h19’).

A Firenze e alle Cascine tornai dopo una decina di anni, in occasione della Maratona, ma ci andai preparato: intanto a fine settembre presi parte al Giro dell’Umbria a tappe, 5 gare in una settimana anche molto tecniche, che mi dettero una continuità nel ritmo desiderato, poi tra gli allenamenti mirati annovero una seduta in pista di 5 x 3000 con recupero 4 minuti tra uno e l’altro, da solo. Lì più delle gambe conta la testa, però ne è valsa la pena e nel mio Pantheon metto in primis Firenze 7 dicembre 1986 2h 49’ 49”.

Certo il tempo passa e la qualità diminuisce, vale quasi per tutti, però se uno non compie errori grossolani e il fisico lo sostiene, questo sport si può praticare fino ad età avanzata, sempre che il diavolo non ci metta lo zampino. E infatti, durante una gara al famoso Centro Sportivo dove si è disputato varie volte il Trofeo Podistica Solidarietà ho sentito una fitta in petto, non dolorosa o allarmante, ma spia sicura di un problema.

Il mio cuore, punto forte nel periodo agonistico con recupero veloce (il medico sportivo nella prova da sforzo si doveva sbrigare a rimettere gli elettrodi altrimenti tornava quasi a riposo), ha pensato bene di diventare aritmico, con conseguente controindicazione all’attività. Come si dice in altro ambito, al cuore non si comanda, e infatti decide lui da solo a quanto andare (parafrasando, a volte 3’30” a volte 6’).

Ora lo supporta un pacemaker con cui convivo da dieci anni e mi accontento di camminate più o meno veloci al parco. Può sembrare un patetico amarcord, ma ormai questa è la situazione e va bene così, certo quando sono al gazebo in occasione di gare partecipate da una parte respiro un po’ il clima della gara anche se da fuori è un altro sapore, e dall’atra “rosico” un po’.

Diciamo che l’appartenenza alla Podistica mi consente di fare una corsa virtuale, cosa purtroppo ormai diffusa, ma posso continuare a considerarmi un podista.





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